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Il canto di Francesco che ha ispirato il Papa

Laudato sii, è il primo versetto del Cantico delle Creature, un capolavoro della letteratura scritto dal santo nel 1224. Per valorizzare il Creato contro lo spiritualismo dei catari

di Giuseppe Frangi

Laudato si’. Il titolo della nuova Enciclica del Papa si rifa ad uno dei più celebri testi della letteratura italiana, uno dei primi scritti in volgare. È il Cantico delle Creature, scritto da san Francesco nel 1224, due anni prima di morire. È un inno di ringraziamento e di lode a Dio per la sua opera di creazione del mondo.

Francesco usa una lingua che risente molto dell’umbro come testimoninano le numerose definenze in “u” o l’uso molto frequente di un verbo come “mentovare”. Francesco peraltro non si limitò a scrivere il testo, ma fece anche un accompagnamento musicale, che è andato perduto.

Come aveva scoperto uno grande storico della letteratura, Vittore Branca, Francesco si rifà a due fonti precisie: il Salmo148 e il Cantico dei tre fanciulli nella fornace (Daniele, 3, 51-89). Il Cantico è frutto di una visione ben precisa di Francesco, che vuole rispondere alla visione dei catari, i quali pensavano che a Dio si potesse attribuire solo la creazione delle realtà spirituali, mentre quelle materiali esposte a morte era di origine demoniaca. Ma Francesco se la prende anche con la cultura del nuovo ceto mercantile che vedeva nella natura un bene da sfruttare a scopi economici, mentre per lui la natura garantisce all’uomo i beni sufficienti e quindi è inutile affannarsi a cercarne di altri.

Ci sono state tante dispute per interpretare il contenuto del Cantico. Uno dei punti più controversi, e spiegato in modo diverso dai commentatori e dai critici, è il “PER”. «Cosa vuol dire PER?», scrive Carlo Carena. «Laudato sii mì Signore PER frate vento, PER sora acqua”, ecc. Naturalmente non dobbiamo per questo fermarci al significato che diamo oggi alla particella PER, ma dobbiamo riportarci alla ricchezza di significato che essa aveva non solo nel latino classico, ma anche nell’uso volgare di quel tempo, per cui appare agli interpreti della poesia e ai critici in diversi sensi. Per alcuni, dunque, PER, ed è la spiegazione più ovvia, va inteso come ‘a causa di’, cioè “noi Signore Ti ringraziamo e Ti lodiamo a causa dell’acqua, del vento, dell’aria…”. Per altri quel PER è un complemento di mezzo, cioè “noi o Signore ti lodiamo per mezzo delle tue creature, attraverso le tue creature, per il tramite di quelle cose che Tu hai creato e ti sono care”».

Il Cantico, scriveva un altro grande critico, Gianfranco Contini, è uno di quei testi che tutti abbiamo imparato fin da ragazzi, e che, un bel giorno riprendendoli ci accorgiamo di non avervi capito niente. E infatti quel breve testo, che sembrava semplice, facile, lucido, in realtà è di una complessità straordinaria. Scriveva Contini, con parole commosse: «Appannaggio dei testi gloriosissimi, e si dica pure incresciosa controparte della celebrità, è che essi, mandati a mente sin dall’infanzia, si fossilizzano e isteriliscono nel ricordo, finché un giorno, nel tornare a sfiorare uno di questi individui canonici, non si trasecola di ravvisarvi qualche contrassegno prima occultato dal bagliore della loro stessa familiarità».


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