Cooperazione & Relazioni internazionali

Nepal: black list per le ong che non mantengono gli impegni

A due mesi dal terremoto, con la terra che continua a tremare e i monsoni in arrivo, il Nepal ha visto aumentare esponenzialmente le ong presenti. Un aiuto che però va governato. La testimonianza di Barbara Monachesi

di Sara De Carli

«Nel Village Development Commettee dove lavoriamo noi, uno dei 50 del distretto di Dhading, prima del terremoto c’erano due ong: noi e una ong svizzera. Tre giorni dopo il terremoto eravamo in 12. L’altro ieri è arrivata un’altra realtà, con 13 veicoli: conoscendo il posto non so nemmeno dove abbiano potuto parcheggiarli tutti quei mezzi». Barbara Monachesi, 42 anni è la responsabile di Apeiron in Nepal, ong di Cesena presente in Nepal fin dal 1997, che Mission Bambini ha scelto di sostenere. Vive lì dal 2005 e ci racconta la fase numero due dell’emergenza.

La situazione ora com’è?

Intanto la terra continua a tremare. L’altro ieri c’è stata ancora una scossa, di magnitudo 5.3. Sta iniziando la stagione dei monsoni, in qualche zona ha già iniziato a piovere e ovviamente con la pioggia tutto diventa ancora più complicato. A Kathmandu ci sono campi e campi di sfollati, si proteggono solo con delle tende in plastica. Interi villaggi sono stati distrutti e si sono spostati insieme, sono stati accolti nella stessa zona. La prima emergenza ha funzionato, anche perché questo era un disastro annunciato.

In che senso?

Il Nepal è estremamente sismico, c’è un terremoto grave ogni 80/100 anni. L’ultimo è stato nel 1934, 81 anni fa, quindi tutti se lo aspettavano, abbiamo fatto corsi, il Governo ha messo in piedi il sistema dei DDRC – District Disaster Relief Committee, dei comitati che hanno lavorato molto bene. Subito dopo il terremoto hanno preso in mano il coordinamento dell’emergenza, con molta autonomia nelle decisioni. Sono successe cose belle, ad esempio un’agenzia di viaggio locale ha deciso di fornire l’acqua a un campo, perché il villaggio da cui provengono queste persone era sul percorso del trekking proposto dall’agenzia. I campi però non sono dei posti sicuri, si sono già registrati diversi tentativi di violenza sulle donne.

Perché parla di “affollamento di ong”?

Nel Village Development Commettee dove lavoriamo noi, uno dei 50 del distretto di Dhading, prima del terremoto c’erano due ong: noi e una ong svizzera. Tre giorni dopo il terremoto eravamo in 12. L’altro ieri è arrivata un’altra realtà, con 13 veicoli: conoscendo il posto non so nemmeno dove abbiano potuto parcheggiarli tutti quei mezzi. Non mi fraintenda, l’emergenza c’è e i soldi servono, ma vanno gestiti insieme ai DDRC: è impensabile, in un territorio come il Nepal, che una ong arrivi dall’estero e decida da sola come muoversi, senza conoscere il territorio. Il rischio è che le ong si dividano il Paese a tavolino, dalla capitale: il problema è che tutti vogliono andare nei posti raggiungibili con le auto, mentre in Nepal ci sono tanti villaggi raggiungibili solo a piedi. E lì come porti gli aiuti? O ci vai in elicottero o li porti a spalla. A due mesi dal terremoto ci sono zone che non sono state ancora raggiunte da nessuno con gli aiuti, in cui nessuno è ancora andato.

Come funziona tecnicamente l’operatività delle ong?

I DDRC chiedono di firmare un agreement molto rigido. Lì c’è scritto che chi si assume l’impegno di fare determinate cose in un determinato luogo lo deve fare, altrimenti viene messo nella black list delle ong. Questo ha disincentivato alcune ong che non avevano una presenza in Nepal prima del terremoto, perché non conoscono il Paese e prima di sottoscrivere un impegno del genere hanno bisogno di verificare quello che il DDRC ha scritto rispetto al territorio. Noi conoscevamo già i luoghi e i numeri, quello che c’era scritto corrispondeva a quello che conoscevamo, così siamo partiti subito. Ci stiamo trovando bene, partecipiamo alle riunioni quotidiane del comitato, credo che questo coordinamento sia necessario.

Cosa serve in questa fase?

La ricostruzione vera e propria è ancora lontana, almeno finché la terra trema ancora. I primi giorni abbiamo distribuito kit alimentari, 1 sacco di riso da 30 kg, 5kg di lenticchie, 1lt. di olio e 1 kg di sale sufficiente a sfamare la famiglia per circa un mese. Ora ci siamo concentrati sulla realizzazione di temporary shelters, che garantiranno un riparo sicuro dai monsoni e di temporary learning center per consentire ai bambini di riprendere la scuola. Gli interventi verranno realizzati nel distretto di Dhading, VDC (Village Development Commettee) di Jharlang. Anche Mission Bambini sostiene questo progetto.


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