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Economia & Impresa sociale 

È la primavera dell’impresa sociale globale

Da chi, col social business sta rivoluzionando l’industria alimentare nel Regno Unito, all’imprenditrice sociale che sta cambiando la vita delle donne ugandesi con assorbenti lavabili a prezzi accessibili, fino all’inventore del Social Progress Index, il Social Enterprise World Forum, quest’anno a Milano, presenta il punto di incontro di chi sta costruendo il nostro futuro

di Ottavia Spaggiari

Sono arrivati dagli angoli più distanti del pianeta le centinaia di imprenditori sociali per il Social Entrerprise World Forum 2015, la più importante occasione di incontro e confronto per chi si occupa di social business a livello globale.

Qualcuno l’ha definita la primavera del cambiamento, ed effettivamente nella grande sala dell’auditorium Expo che mercoledì ha ospitato la prima giornata del Social Enterprise World Forum, si respirava la carica di energia delle giornate assolate di fine maggio. A lanciare la tre giorni che prevede l’intervento di 170 relatori in oltre 40 sessioni di lavoro, un panel di stelle nascenti del social business globale, come Sophia Grinvalds, trentadue anni, oggi a capo di una delle aziende più interessanti del panorama ugandese. “Ero arrivata in Uganda a 25 anni, con quello che all’epoca era il mio fidanzato e che oggi è diventato mio marito. Dovevamo restare solo un anno per fare volontariato e poi tornare negli Stati Uniti e iniziare un MBA. Dopo sette anni siamo ancora in lì e non abbiamo nessuna intenzione di andarcene.” Racconta. “Mi ero resa conto che nella zona dove vivevamo noi, non esistevano assorbenti igienici accessibili alla maggior parte della popolazione femminile. Così ho iniziato ad informarmi e presto abbiamo capito che questo rappresentava un problema enorme, per le ragazze, che proprio per questa mancanza, perdevano il 20% delle ore scolastiche annuali, e per tutte le donne che vivevano quel periodo del mese, con disagio estremo e come un enorme stigma sociale. Abbiamo fatto quello che fanno gli imprenditori sociali: cercato l’opportunità nel problema, e ci siamo accorti che il 70% delle donne non aveva accesso ad un prodotto che avrebbe cambiato in meglio la loro vita. C’era un mercato.” E’ così che è nata Afripads, l’impresa femminile che produce assorbenti igienici lavabili e perfettamente accessibili anche alle fasce più povere della popolazione ugandese. Dai due dipendenti del 2008, oggi l’azienda ne conta 130.

Una storia di cambiamento è anche quella di Ruth e Amy Anslow, giovani sorelle britanniche che, complice una campagna di crowdfunding, hanno lanciato nel 2013, il primo supermercato completamente etico e sostenibile della Gran Bretagna, a prezzi assolutamente accessibili a tutti, trasformando letteralmente uno dei quartieri più difficili di Brighton. Oggi Hisbe conta un fatturato annuo di oltre 1.7 milioni di euro e 2mila clienti a settimana, un modello che si prepara ad essere esportato, nei prossimi tredici anni, in tutto il mondo. “Stiamo cercando di trasformare le cose, da come sono, a come dovrebbero essere,” ha spiegato Ruth Anslow. “D’altronde tutti gli imprenditori sociali fanno proprio questo.” E gli imprenditori sociali sono forse gli unici in grado di rispondere a domande che vanno oltre i semplici conti economici, come ha sottolineato Michael Green, di Social Progress Imperative UK, economista che ha sviluppato una fonte di misurazione dello sviluppo di ogni Paese, alternativa al Pil: l’indice di progresso sociale, perché, come aveva anticipato Bobby Kennedy, “Il Pil ha i suoi limiti. E’ cieco davanti alle esigenze ambientali e non ha nulla da dire sulla disuguaglianza.” Il Social Progress Index, invece si pone come strumento di misurazione per cogliere le necessità del ventunesimo secolo e, analizzandolo si notano alcuni dati parecchio interessanti, come, ad esempio, che se a livello di prodotto interno lordo, l’Italia è nettamente superiore alla Costa Rica, quest’ultimo ci supera però per quanto riguarda il Social Index Progress.

Presenti anche alcune delle eccellenze del social business italiano: CGM, San Patrignano, La Città Essenziale e il gruppo Cooperativo Goel. “La scommessa dell’ impresa sociale è quella di offrire un modello economico sostenibile, perché è davvero di un modello che si tratta, non è più una parte marginale dell’economia.” Ha dichiarato Stefano Granata, e le sue parole sembrano confermate, dalla nutritissima delegazione Taiwanese, la più numerosa di tutto il forum.

A fine 2014 il governo ha stanziato 161 milioni di dollari taiwanesi (circa 4.800.000 euro) per l’incubazione di 100 nuove startup sociali, compresa nel budget anche la formazione e l’incentivo a partecipare a diversi eventi internazionali per favorire lo scambio e confrontarsi con modelli diversi. E il quartier generale delle imprese sociali a Taiwan si trova proprio in una delle residenze presidenziali. “Abbiamo deciso di investire molto in questo settore che crediamo sia destinato a crescere,” ha spiegato Yen Feng, Ministro senza portafoglio del Governo Taiwanese, “Crediamo però che poi vada lasciato libero di autoregolamentarsi.”

D’altronde come ha sottolineato l’economista Stefano Zamagni, intervenuto all’apertura del Forum, “Ciò di cui abbiamo bisogno è rendere civili i mercati, si tratta di ridare all’economia il suo significato antico, perché l’economia di mercato, è nata per includere tutti.”


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