Solidarietà & Volontariato

56 bambini abbandonati alla nascita in un anno

Presentato ieri il primo rapporto sulla condizione dei bambini non riconosciuti alla nascita, all'interno del progetto ninna ho di Fondazione Francesca Rava. Le mamme sono straniere, giovani, sole e senza lavoro: un terzo di loro non ha avuto alcun tipo di assistenza durante l'intera gravidanza.

di Redazione

Tra luglio 2013 e giugno 2014 in Italia ci sono stati 56 neonati non riconosciuti dalle mamme subito dopo la nascita, su un totale di 80.060 nati: circa lo 0,07% del totale. Nel 62,5% dei casi si tratta di neonati non riconosciuti da madri straniere e nel 37,5% da mamme italiane. Quasi una mamma su due fra quelle che scelgono di non riconoscere i loro bambini ha un’età compresa tra i 18 e i 30 anni (48,2% dei casi). La maggior parte dei bambini non riconosciuti sono nati negli ospedali dell’Italia Centrale e Settentrionale, con rispettivamente 26 e 25 casi; nel Sud Italia ci sono stati invece solo 5 parti anonimi.

Questi sono solo alcuni dei presentati ieri a Roma presso l’Auditorium del Ministero della Salute. I risultati sono il frutto di un’indagine durata un anno condotta su un campione di 100 Centri nascita ed effettuata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) in collaborazione con ninna ho, il progetto a tutela dell’infanzia abbandonata promosso da Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus e dal Network KPMG in Italia. Ogni tre mesi il primario e/o il personale sanitario che assiste il parto hanno risposto a un questionario di 22 domande, predisposto insieme ai membri del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Neonatologia e suddiviso in tre specifiche sezioni: la prima contiene indicazioni che riguardano l’ospedale dove è stato effettuato il parto, la cittadinanza della madre, la fascia d’età, lo stato civile, il livello d’istruzione ed eventuali informazioni relative al padre; la seconda sezione include domande che riguardano l’esperienza della donna in ospedale, i motivi che l’hanno spinta a non riconoscere il bambino, i servizi che l’hanno sostenuta durante la gravidanza, la conoscenza della legge sul parto anonimo e delle culle salvavita; l’ultima sezione mira a individuare quali siano, secondo i neonatologi, i metodi d’intervento più efficaci per gestire le situazioni di difficoltà materna.

Al di là dei numeri infatti l’obiettivo del progetto è quello di «individuare, insieme alla SIN e alle istituzioni, nuovi strumenti e metodi più efficaci per prevenire gli abbandoni in condizioni di rischio», dice Mariavittoria Rava, Presidente della Fondazione Francesca Rava, impegnata fin dal 2008 con il progetto ninna ho.

L'obiettivo del progetto è individuare, insieme ai neonatologi, nuovi strumenti e metodi più efficaci per prevenire gli abbandoni in condizioni di rischio

Mariavittoria Rava

Le mamme

Il fenomeno del non riconoscimento materno riguarda in maggioranza donne immigrate: 62,5% sono donne straniere e 37,5% sono donne di cittadinanza italiana. La maggior parte delle donne straniere proviene dall’Est Europa (20 donne, pari al 58,8%). Al secondo posto troviamo le donne provenienti dall’Africa (5 donne, pari al 14,7%). Seguono il continente asiatico (11,8%); le donne provenienti dal Centro Europa e dal Sud America (pari al 5,9%) e infine le donne nord americane (2,9%). La maggioranza delle mamme che scelgono di non riconoscere i loro bambini ha scelto di andare a partorire in una città diversa dalla quella in cui ha la residenza (scelta fatta dall’84% delle donne). C’è un’alta presenza di giovani nella fascia d’età 18-30 (48,2%), anche se il 12,5% ha meno di 18 anni.

Quasi una donna su due non è sposata né convivente (48,2%) e solo il 12,5% ha un lavoro. Per quanto riguarda il livello di istruzione, il 32,2% delle madri ha una scolarità medio-bassa (licenza elementare o di scuola media inferiore), il 19,6% ha un diploma di scuola media superiore, mentre l’1,8% è laureata.

I padri

Nella maggior parte dei casi non sono state rilevate informazioni sul padre (60,7%). Stando ai pochi dati rilevati, il 3,6% è in carcere o ha lasciato la donna durante la gravidanza.

Il parto

Al momento del parto, la maggioranza delle donne è arrivata sola in ospedale (34%); il solo l’8,9% è stata accompagnata dal partner, quasi il 20% da un’amica e il 14,4% da un parente. Per il 37,5% si tratta di donne al primo figlio mentre il 50% hanno già vissuto l’esperienza del parto; il 7,1% ha altri figli dati in affido o adozione e il 3,6 % è ricorsa in passato all’IVG. Durante la gravidanza, il 32,1% delle donne non si è affidata a nessun servizio di sostegno; per quelle che lo hanno fatto l’ospedale risulta essere il principale servizio a cui le madri si sono rivolte (38,5%), seguito immediatamente dagli assistenti sociali e dai consultori familiari (rispettivamente il 34,6% e il 30,8%). Chiudono l’elenco le Associazioni di volontariato e i Centri di aiuto alla vita con il 15,4%, mentre il 7,6% si è rivolto alle Cooperative e ai Centri Sociali.

I motivi dell’abbandono

Al primo posto troviamo il disagio psichico e sociale (37,5%), seguito dalla paura di perdere il lavoro o più in generale dai problemi economici (19,6%). La paura di essere espulse o di dover crescere un figlio da sole in un Paese straniero è un motivo scatenante per il 12,5% delle donne immigrate; segue la coercizione per il 7,1%; la giovane età (5,4%); la solitudine (5,4%) e la violenza (1,8%).

Conoscenza della legge

La maggior parte delle donne apprende della possibilità di partorire in anonimato in ospedale (19,6%); al secondo posto troviamo le Associazioni di volontariato (14,3%); seguono gli amici, la scuola e la Chiesa (5,4%). Per quanto riguarda le culle salvavita, il 10,7% delle donne è a conoscenza della loro presenza in Italia contro l’8,9% di quelle che ne ignorano l’esistenza.

Come migliorare l’aiuto

L’ultima parte del questionario mira ad individuare gli strumenti e i metodi che i neonatologi reputano più efficaci per prevenire gli abbandoni in condizioni di rischio.

Al primo posto troviamo la necessità di assicurare sostegno e assistenza alle donne in difficoltà rafforzando le politiche per la famiglia e per l’infanzia; favorendo una maggiore integrazione e collaborazione tra attività ospedaliera e territoriale; assicurando una migliore presa in carico della madre e del bambino da parte di Consultori e Servizi sociali. I neonatologi suggeriscono di creare più strutture di accoglienza madre-bambino, che possano mettere queste donne sole in condizioni di prendersi cura del proprio figlio in modo adeguato. In particolare hanno sottolineato la necessità di agevolare il lavoro integrato tra Servizi Sociali, Ospedalieri e Tribunale per i Minori per una adeguata gestione dei neonati non riconosciuti alla nascita, soprattutto in caso di neonati patologici che necessitano di ricovero prolungato presso i reparti di Terapia Intensiva Neonatale.

Al secondo posto troviamo la necessità di informare e sensibilizzare le madri in difficoltà sulla possibilità consentita dalla legge di partorire in anonimato e non riconoscere il neonato, visto che ancora molte ignorano questa possibilità: per questo motivo è stato chiesto ai neonatologi quali siano secondo loro i luoghi dove portare a conoscenza delle donne l’esistenza della legge sul parto anonimo. I neonatologi hanno indicato consultori, ospedali, medici di base ma hanno suggerito anche gli studi di ginecologia e i mezzi di trasporto pubblico. Per i neonatologi bisognerebbe utilizzare di più i mezzi di informazione: giornali, riviste, radio, televisioni, free press, web.

Al terzo posto c’è l’ascolto: per i neonatologi intervistati è importante l’ascolto attivo, la partecipazione intesa come empatia, l’assenza totale di giudizio, comprensione, disponibilità al sostegno e all’aiuto, così da creare un clima di fiducia che consenta alle donne in difficoltà di aprirsi e affrontare il disagio legato alla difficoltà della condizione che stanno vivendo. È necessario promuovere un cambiamento culturale, un atteggiamento più accogliente e meno giudicante verso la difficoltà materna; ciò favorirebbe lo sviluppo di contesti in cui la donna sarebbe più libera di esprimersi e di chiedere e ricevere aiuto senza timore.

«Abbiamo partecipato con entusiasmo e forte coinvolgimento al progetto ninna ho perché siamo coscienti del problema che esiste in Italia e che è sicuramente più ampio di ciò che emerge dai fatti di cronaca. Agevolare e incrementare l’informazione per arrivare direttamente a queste donne in difficoltà attraverso ambulatori, centri di assistenza sociale, consultori e parrocchie è secondo noi la strada da percorrere per il futuro», ha detto il Prof. Costantino Romagnoli, Presidente SIN Società Italiana di Neonatologia.

Foto Sean Gallup / Getty Images


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