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Migranti, gli sbarchi più virtuosi d’Italia? A Reggio Calabria

Un coordinamento di 80 volontari di varie associazioni stringe un patto con la Prefettura per aiutare nell'accoglienza ogni volta che una nave di salvataggio giunge in porto con centinaia di profughi. "Non ci sostituiamo a nessuno, puntiamo a dare sollievo e dignità a chi arriva: le autorità l'hanno capito e grazie al nostro esempio ci dicono di lavorare meglio, superando i pregiudizi", spiega Bruna Mangiola, attivissima volontaria della prima ora

di Daniele Biella

Nessun dubbio: se ci fosse una classifica della città italiana più virtuosa nella primissima accoglienza dei migranti – per intenderci, gli sbarchi – il premio andrebbe a Reggio Calabria. Quasi nessuno lo sa, ma quello che si sta sperimentando nel capoluogo calabrese è una prassi che se replicata altrove porterebbe indubbi benefici a tutti, profughi e cittadini stessi, che potrebbero toccare con mano quei momenti a forte impatto emotivo che nelle maggior parte dei casi vedono veicolati dal mezzo televisivo, spesso anaffettiva o comunque (volutamente o meno) superficiale. Ma di cosa stiamo parlando? Di un patto di ferro tra istituzioni e cittadini, dove le prime, Prefettura in particolare, hanno permesso a persone comuni quello che in nessun altro porto d’Italia avviene con regolarità: l’ingresso nella zona “rossa” riservata al primo monitoraggio dei migranti sbarcati con le navi della Marina o comunque di Triton, il programma di controllo delle frontiere europee di mare voluto dall’agenzia Frontex. Non solo forze dell’ordine e operatori umanitari accreditati, quindi: a Reggio Calabria ruotano almeno 80 volontari, giovani e meno giovani, laici e religiosi, che aiutano con la loro presenza, a fianco dell'assidua opera della Protezione civile e di altri enti come l'ong Save the children, a rendere l’accoglienza quello che dovrebbe sempre essere, un atto di umanità verso fratelli e sorelle meno fortunate perché costrette a scappare dalla patria per guerre, persecuzioni o impossibili condizioni di vita. “Un patto talmente operativo che ora, dopo mesi di presenza, le istituzioni ci chiamano nei momenti di difficoltà per chiedere il nostro contributo, al quale non ci sottraiamo mai, così come non abbiamo alcuna remora nel sottolineare le cose che funzionano e denunciare invece le situazioni negative che possono venirsi a creare”, spiega Bruna Mangiola, classe 1952, un vulcano di altruismo che nei momenti successivi alle due tragedie nel Mediterraneo del 3 e dell’11 ottobre 2013 ha iniziato a fare quello che oggi è diventato un impegno inderogabile: “mettermi a disposizione laddove serviva una mano, al porto in occasione degli sbarchi e nei centri di accoglienza, dove nei momenti di afflusso continuo la situazione è spesso delicata e un aiuto è sempre ben accetto”, aggiunge la volontaria, che è anche responsabile dell'Help Center della Caritas cittadina. Con il tempo, prima con l’operazione Mare nostrum poi con l’attuale Triton, le operazioni di sbarco sono state regolate e oggi vige un rigido protocollo di screening medico e identificativo, “ma la nostra presenza è diventata via via parte integrante di quei momenti tanto delicati”, aggiunge, “perché uno sbarco non è mai uguale all’altro, ogni persona è diversa e arriva in condizioni sempre diverse, così come incide il momento della giornata, il caldo o il freddo, la quantità di arrivi”. Un recente video (che si può vedere cliccando sull'immagine qui sotto) racconta in modo più che efficace i vari momenti dello sbarco e il ruolo dei volontari a fianco di autorità ed enti non profit collaboratori.

Fin dai primi sbarchi, la volontaria reggina, già capo educatore Agesci, non si è trovata sola ad aiutare gli enti predisposti nell’accoglienza: con lei c’erano tra gli altri il padre scalabriniano Bruno Mioli, 83 anni che sembrano essere la metà in quanto a vigore, volontari della stessa Agesci, delle associazioni Masci (a cui appartiene Mangiola) e Moci, della Comunità di Sant’Egidio, dei Gesuiti e dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, con in prima fila fin da subito il responsabile del Servizio immigrazione, Giovanni Fortugno. Di lì a poco è nato quello che ancora oggi si chiama Coordinamento ecclesiale diocesano: “eravamo già tanti allora, siamo molti di più ora, ma sempre con lo stesso ruolo, ovvero un supporto morale immediato e totalmente gratuito ai migranti, a base di sorrisi e strette di mano, seguendo alla lettera il passo del Vangelo che dice ‘Ero straniero, mi avete accolto’”. Per non creare disagio alla macchina prefettizia dell’accoglienza, dopo le prime settimane di collaborazione informale Mangiola e gli altri scrissero una lettera al Prefetto in cui chiarivano i loro intenti del tutto trasparenti e “con nessuna volontà di sostituirci alle istituzioni, piuttosto di essere da collaboratori e da stimolo”. Stimolo è la parola più azzeccata: “abbiamo visto un cambio graduale nell’attitudine delle forze dell’ordine verso chi arrivava dal mare”, racconta la donna, “alla paura iniziale legata al diverso, a chi viene da lontano, alle possibili malattie e tutto il resto, si è passati a un’empatia che oggi coinvolge tutti quelli che hanno a che fare con l’accoglienza al porto reggino. Alcuni operatori istituzionali ci hanno proprio detto che sono riusciti a cambiare approccio grazie al nostro esempio”. Un approccio talmente orizzontale, pur nel rispetto dei propri ruoli, che ha portato il Coordinamento a organizzare, nei pressi del luogo in cui di solito avviene la primissima accoglienza ma in un giorno in cui non erano previsti arrivi, l’evento di beneficenza “Forchetta da sbarco”, una gara di cucina tra tutte le realtà coinvolte, istituzioni e forze dell’ordine in prima fila. “Abbiamo raccolto 472 euro, spesi per l’accoglienza del giorno successivo, ovvero per l’acquisto di generi di prima necessità e ciabatte per i più di 900 migranti sbarcati”, sottolinea la donna.

Con almeno due sbarchi alla settimana, la rete di aiuti deve essere sempre pronta, tanto che il Coordinamento, con ogni mezzo di comunicazione a disposizione, compresa la pagina facebook, annuncia qualche ora prima l’arrivo della nave di salvataggio per un rapido giro di raccolta viveri oltre alle adesioni di chi sarà a disposizione quel giorno. “L’ultimo sbarco, domenica 12 luglio, è stato relativamente semplice con 190 persone arrivate e nessun problema di gestione, mentre quello precedente, qualche giorno prima, ha messo tutti a dura prova per i numeri, il caldo e alcune situazioni legate a migranti con la scabbia, malattia del tutto trattabile ma che necessita un intervento immediato”. Con le ultime decisioni in sede europea legate alle nuove modalità di gestione dei migranti, in termini di quote nazionali e stretta sulle identificazioni, “le dinamiche di sbarco stanno cambiando: all’immediata fotosegnalazione una volta scesi dalla nave, nel penultimo sbarco le autorità competenti hanno identificato con le impronte digitali direttamente sul luogo e non in un secondo momento come è sempre avvenuto, ma i tempi si sono di molto allungati creando ulteriore disagi alle già precarie condizioni dei migranti appena arrivati, nello sbarco successivo l’operazione identificazione è stata spostata nelle strutture d’accoglienza. Vedremo d’ora in avanti”, chiude il ragionamento la volontaria reggina.

All'interno del coordinamento anche un nutrito gruppo di religiose (una delle quali, suor Lina, aveva rilasciato di recente un'intervista molto incisiva direttamente dal porto) e, tra le varie associazioni, i giovani volontari dell'Operazione Colomba, il corpo civile nonviolento dell'associazione Papa Giovanni XXIII, presente nel supporto ai migranti di Reggio Calabria dalla fine del 2013. L'associazione ha aperto di recente una casa di accoglienza per minori non accompagnati gestita dalla 28enne Bruna D'Angelo: "Attualmente ospitiamo una ragaza di 11 anni del Gambia, che purtroppo ha perso i genitori e la sorella in un naufragio la scorsa primavera", spiega, "abbiamo ospitato anche famiglie con bambini piccoli provenienti dal Sudan, che si fermano qualche giorno poi preferiscono proseguire per il Nord Europa".


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