Economia & Impresa sociale 

Rapaccini: non facciamo la fine della Grecia, non bloccate la riforma

Approvare la riforma del Terzo settore potrebbe essere l’unico modo per sottrarre i beni comuni alla privatizzazione più sfrenata e restituirli davvero ai cittadini. Secondo Andrea Rapaccini, presidentedi Make a Change, l’approvazione della riforma non è mai stata così urgente, per non fare la fine della Grecia e proteggere la democrazia

di Ottavia Spaggiari

“La riforma del Terzo settore è una questione di democrazia, l’unico modo per sottrarre lo stato alla privatizzazione più sfrenata.” Andrea Rapaccini, presidente di Make a Change ha le idee chiare sull’importanza di salvare la riforma dalle sabbie mobili della Commissione Affari Costituzionali in Senato, dopo che la presidente, Anna Finocchiaro ha annunciato un ulteriore rinvio del termine di presentazione degli emendamenti.

Perché l’urgenza di questa riforma?

Nella riforma c’ è un punto molto importante legato alla gestione dei servizi e dei beni comuni, che è di estrema attualità. La Grecia si trova davanti alla cessione dei propri beni pubblici, con la creazione di un fondo di garanzia per i creditori. L’Italia non è in una situazione molto diversa. Abbiamo un debito pubblico di 2200 miliardi, i beni culturali, il patrimonio ambientale e tutti quei beni comuni che hanno a che fare con i diritti fondamentali dell’uomo appartengono ad uno stato indebitato che non è più in grado di gestirli, né di sostenerne i costi. Il rischio che i comuni e le regioni cedano alla privatizzazione non è mai stato così alto, in realtà sta già avvenendo. La riforma rappresenta una terza via, potrebbe riconsegnare i beni pubblici ai cittadini, scongiurando il pericolo di speculazione. L’impresa sociale permetterebbe infatti di gestire questo patrimonio attraverso un modello economico in cui il profitto generato dall’attività commerciale non rappresenta il fine ultimo, ma viene gestito ed utilizzato come mezzo per rendere autosufficiente l’impresa stessa. Ci troviamo davanti al rischio del grande capitale che si mangia gli stati, la riforma del Terzo settore rappresenta un’alternativa concreta perchè ciò non avvenga.

Make a Change si occupa di promuovere l’imprenditorialità giovanile, che scenari potrebbe aprire la riforma del Terzo settore in questo senso?

Le nuove generazioni dovranno fare sempre più riferimento a modelli pluralistici, siamo stati abituati ad una divisione molto netta tra profit e non profit, ma in mezzo ci sono forme economiche molto articolate, in cui l’elemento valoriale gioca un ruolo importante, in grado di stemperare anche le proteste crescenti contro un sistema capitalistico monocratico e senza opportunità. Dal nostro osservatorio vediamo che sempre più ragazzi cercano una strada alternativa, che possa attribuire al lavoro un significato più profondo, l’impresa sociale può offrire una risposta importante, in questo senso, permettendo ai giovani di avere un impatto sociale, ma di guadagnarsi allo stesso tempo l’indipendenza economica.

La Riforma è ancora ferma in senato, qualcuno ha suggerito che questi rallentamenti non siano casuali…

Credo che la riforma smuova sicuramente degli equilibri e per questo può dar fastidio ad alcuni soggetti. Si potrebbe pensare che ci sia un’alleanza informale e non scritta tra la finanza e quella parte del mondo della cooperazione che non ne ha capito il potenziale. L’impresa sociale d’altronde si ispira allo spirito della cooperazione, ma non adotta lo stesso modello giuridico e impone agli investimenti delle regole calmierate, impedendo la speculazione. In questo momento i comuni e le regioni non hanno un’alternativa, sono sempre più spesso costretti a privatizzare i beni comuni e questo è sicuramente più conveniente per gli investitori, che non sono costretti dai lacci che imporrebbe l’impresa sociale. E poi ci sono gli ideologi dello stato, secondo cui i beni comuni dovrebbero continuare ad essere gestiti dal pubblico, ma questa è un’aspettativa irrealistica, per uno stato che, appunto ha 2200 miliardi di debiti. Basti pensare che nei prossimi cinque anni, solo nel ciclo idrico sono previsti investimenti per 5 miliardi di euro all’anno. La verità è che senza che ce l’abbia chiesto formalmente l’Europa, stiamo seguendo la Grecia, stiamo privatizzando pezzi del pubblico, i nostri beni comuni. Non si tratta più di scegliere tra stato e mercato, l’unica risposta è creare un mercato che sia sostenibile ed equo.


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