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Senza riforma il Terzo Settore rischia di perdere trasparenza

L'intervento di Giovanpaolo Gaudino, presidente di Federsolidarietà Campania che non ha dubbi: «se non dovesse arrivare la legge delega si perderebbe la possibilità di sviluppo che gli imprenditori sociali portano in dote lasciando il welfare in mano al profit»

di Lorenzo Maria Alvaro

La riforma del Terzo Settore si sta insabbiando al Senato a causa dell'ulteriore slittamento del termine per la presentazione degli emendamenti. Dopo 9 mesi di dibattito parlamentare è un segnale preoccupante anche per Giovanpaolo Gaudino, presidente di Federsolidarietà Campania, «bisogna a tutti costi rispettare la grande attesa che è stata creata».

Si perché «questa riforma era cominciata con il piede giusto. L'annuncio di Matteo Renzi e il suo sottolineare l'importanza del Terzo Settore ci avevano fatto ben sperare». Per Guadino ora «la paura che ci si trovi di fronte ad un nulla di fatto è accompagnata da un forte senso di frustrazione».

Una riforma per altro fondamentale: «È un momento delicato per l'Italia», sottolinea il presidente, «in cui la buona cooperazione sta dando risposte, con molti, investimenti alle difficoltà. In Campania ad esempio sono moltissime le cooperative che hanno attivato percorsi di inclusione sociale e lavorativa in campo agricolo. Hanno creato lavoro, prospettive e futuro per tante persone. C'è un fermento per lo sviluppo del territorio che, se la legge delega dovesse mancare, rischia di essere mortificato».

Su questo Gaudino è molto chiaro, «se non verrà approvato il provvedimento il terzo settore rimarrà un erogatore di servizi per il pubblico, vedendo uccidere il proprio ruolo innovativo. Avevamo fatto molto affidamento sul tema di distinguere il grano dal loglio. Ma il timore è che se dovesse morire la legge il terzo settore, in una logica di legalità, rischia di inquinarsi. Perché purtroppo l'unica via saranno i bandi pubblici».

«Per il Paese significherebbe», conclude Gaudino «perdere un'opportunità e la possibilità di avere risposte da dare agli ultimi e ai penultimi della società. Quella fascia di popolazione che ormai è uscita dai radar. La parte debole del Paese già oggi può contare solo su questo mondo. Si perderebbe poi la possibilità di sviluppo che gli imprenditori sociali portano in dote che non verrebbe sfruttata. Si lascerebbe il mercato in mano esclusivamente al profit. Con il rischio che il welfare diventi in qualche modo privato, perdendo quel senso di comunitarietà dell'impresa sociale».


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