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Consultazione online sull’affidamento di servizi. Cosa risponderei all’Anac

La "progettazione partecipata" è sicuramente un ottimo metodo. Ma tutto dipende da "chi" partecipa. Se chi è causa di un problema viene poi chiamato a proporre soluzioni a quel problema siamo sicuri sia vera "partecipazione"? Come al solito, certi gatti si mordono la coda

di Marco Ehlardo

L’Autorità nazionale anticorruzione ha di recente aperto una consultazione online sulle sue “Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali”. La consultazione è aperta fino al 10 settembre 2015.

Il monitoraggio: una chimera?

Premesso che avrei gradito molto e molto di più che questo tipo di analisi e di discussione partisse direttamente dal terzo settore e non da un ente terzo, è sicuramente un’occasione per potersi esprimere. Il mio invito va principalmente agli operatori sociali: esprimiamoci, dato che non abbiamo molte occasioni per poterlo fare.

Leggendo il documento si trovano parecchi spunti e considerazioni interessanti: progettazione partecipata, programmazione, requisiti di partecipazione, apertura alla concorrenza, controlli, proroghe e rinnovi, durata degli affidamenti, procedura di affidamento, verifiche in corso di esecuzione, superamento delle “false emergenze”.

C’è molta carne a cuocere, finalmente. Alla base ci ho trovato almeno un paio di temi centrali: la trasparenza ed il coinvolgimento dei destinatari, quest’ultimo particolarmente interessante.

Sullo sfondo, infine, si legge il tema dei rapporti tra amministrazioni e terzo settore. Provo a fare un esercizio di sintesi e a condividere le cose principali che direi all’Anac, focalizzandomi sul tema della trasparenza. Quasi tutti i punti del documento, infatti, finiscono per convergere sulla questione trasparenza e responsabilità, ossia sul tema dell’accountability.

Ad esempio ben venga la progettazione partecipata, dipende da chi viene coinvolto. In alcuni casi, paradossalmente, la progettazione non è partecipata perché è direttamente l’organizzazione del terzo settore a scrivere e proporre il progetto all’amministrazione, e se ha gli agganci giusti a vederselo finanziato.

Che il progetto, poi, sia giusto o meno (a prescindere dalla correttezza del percorso di cui sopra) dipende da altri due punti: conformità alla programmazione dell’ente e monitoraggio. La programmazione, in un determinato settore, può essere anch’essa però “eterodiretta”, ergo la conformità di un progetto alle linee programmatiche dell’ente non è di per se una garanzia. Se un amministratore ha delle organizzazioni “amiche” che si occupano di un determinato tema o settore, può focalizzare la programmazione del suo ente su quelli e il gioco è fatto.

Il monitoraggio resta una chimera per ora. Di progetti senza senso che vengono prorogati o rinnovati ce ne sono ad iosa.

Quale soluzione dunque?

Il limite dell’analisi dell’Anac è, secondo me, che la soluzione resta affidata a chi causa il problema. Se, in alcuni casi, il problema è il rapporto troppo organico tra amministrazioni e una parte del terzo settore (e ci tengo a sottolineare una parte, tanto più in un periodo in cui va di moda il fare di tuta un’erba un fascio, errore madornale e forma mentis che non mi appartiene), è utopico chiedere ad una o ambo le parti di farsi soluzione al problema.

Le soluzioni possono essere di due tipi, a mio avviso.

1. La prima è un coinvolgimento più democratico del terzo settore, dei destinatari dei suoi interventi e degli operatori sociali. Se la programmazione e la progettazione su un tema coinvolge l’intero terzo settore locale che si occupa del tema, allora i numeri possono fare la forza, e la maggioranza può contrastare determinati fenomeni di collusione e clientelismo. Servirebbe coraggio, e forse è difficile chiederlo a chi dipende ancora troppo dai finanziamenti pubblici.

2. Altra strada può essere, almeno temporaneamente, pensare ad un ente terzo ad hoc che monitori, in tutte le fasi, il rapporto tra l’ente che affida e l’organizzazione affidataria.

Un ente che imponga una stretta agli affidamenti diretti, che verifichi la trasparenza dei bandi, che monitori l’efficacia e la congruenza degli interventi, che certifichi l’esistenza o meno dei requisiti per proroghe e rinnovi. E che sia garante di una reale programmazione e progettazione partecipata. Anche questa, mi rendo conto, è una soluzione che non garantisce necessariamente un risultato positivo.

Nel caso dell’accoglienza dei richiedenti asilo, ad esempio, è un ruolo che in sostanza già hanno le Prefetture, con i risultati che sappiamo. Ma resta la soluzione, a mio avviso, più efficace nel breve termine, che possa costruire il percorso che porti poi alla soluzione 1.

Gli operatori sociali, questi sconosciuti

Un ultima nota, infine, sul ruolo degli operatori sociali.

Il documento si auspica la partecipazione di associazioni, cooperative, sindacati nazionali e persino (ottimo) dei destinatari degli interventi. Non una parola sugli operatori sociali, come sempre.

Considerato che parliamo di una categoria di lavoratori fortemente precarizzata, non possiamo certo considerarci rappresentati dai sindacati, che di questa categoria se ne sono sempre occupati poco o niente.

Dato che finalmente (se vogliamo fidarci) si parla di processi partecipativi, sarebbe il caso che gli operatori si dotino di luoghi di discussione collettiva e strutture di reale e democratica rappresentanza.

Per far ricordare che ci siamo anche (se non soprattutto) noi.

Volessimo rispondere anche questo all’Anac?


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