Cooperazione & Relazioni internazionali

Energia pulita e sostenibile: l’unica garanzia di sviluppo per l’Africa

Due africani su tre non hanno accesso all’energia elettrica: più di seicento milioni di persone, per un costo sul pil dal 2 al 4 per cento. Sono i dati dell’Africa progress panel, un team di esperti guidati da Kofi Annan, ex segretario delle Nazioni Unite, che ha studiato alcune proposte per accelerare l’accesso universale alle fonti energetiche

di Donata Columbro

Nei paesi francofoni si chiamano coupure e chi ha viaggiato e lavorato in Africa sa di cosa stiamo parlando. La coupure è la mancanza improvvisa di corrente, può durare cinque minuti, cinque ore o cinque giorni. In alcuni paesi capita anche per più di 100 giorni all’anno e per molte famiglie, ong e aziende è inevitabile procurarsi un generatore per evitare di dipendere dal sistema nazionale. “Portarsi da casa le infrasfrutture”, così dicono gli imprenditori che nonostante tutto vogliono provare a fare business in Africa, ha un costo e si tratta di soldi che potrebbero essere investiti diversamente, per esempio nell’incrementare la produzione, acquistare nuovi macchinari o impiegare più personale.

Sono due i rapporti che fotografano la situazione energetica del continente: quello prodotto dall’Africa progress panel, un team di esperti guidati dall’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, e l’Africa’s Power Infrastructure, a cura della Banca Mondiale. In quest’ultimo vengono in particolare analizzati i costi che ricadono sulla popolazione: procurarsi l’energia in modo indipendente infatti costa 0,35 dollari per chilowattora, dieci volte di più che fuori dal continente. In Nigeria rappresenta il 6 per cento dei costi di una sede bancaria, per esempio, e il 10 per cento delle spese sostenute dalle compagnie telefoniche, per un totale di 8 miliardi di dollari l’anno spesi dai privati per importare i generatori nel paese. In Kenya il 57 per cento delle piccole e medie aziende ha comprato dei generatori, il 42 per cento in Tanzania e il 41 per cento in Etiopia. In media le spese sostenute sono quattro volte il prezzo della rete elettrica, ma in questi paesi è “il costo necessario per fare business”. Nei dati della banca mondiale derivanti da un’inchiesta, questi incidono direttamente sul valore dei beni venduti:

La carenza di un’infrastruttura energetica è causa di continue spese per l’approvvigionamento individuale e pesa sul pil del continente dal 2 al 4 per cento all’anno, con influenze sull’economia, l’occupazione e gli investimenti. Inoltre, la scarsità di fonti di approvvigionamento energetico peggiora le condizioni di povertà, in particolare nelle aree rurali, dove l’accesso alla rete elettrica costa più che a Londra o a New York: in un villaggio della Nigeria una donna spende da 60 a 80 volte in più che nei grandi agglomerati urbani occidentali. Un africano spende fino al 16 per cento del suo reddito per l’energia, con un costo che raggiunge i 10 dollari per kilowatt l’ora per combustibili come kerosene o batterie monouso per illuminare e cucinare.

Fonti che sono anche pericolose per la salute e sono poco sicure, si legge nel report, in cui è stato calcolato che sono almeno 600mila all’anno i morti per l’inquinamento causato dalle caldaie a biomasse usate dai quattro quinti della popolazione. L’energia è vitale per lo sviluppo, scrive il team guidato da Kofi Annan: senza energia non può esserci una sanità che funziona, un sistema di telecomunicazioni adeguato, la crescita del commercio e delle imprese.

Le proposte dell’Africa progress panel
Ma il pil dell’Africa continua a crescere e di conseguenza anche la domanda di energia. Attualmente gli investimenti dei governi sono di 21 miliardi di dollari l’anno per i sussidi per la benzina, il cui costo è troppo alto per i cittadini, e per coprire le perdite dovute ai problemi della rete elettrica. Soldi che potrebbero essere investiti per migliorare le condizioni della popolazione che vivono sotto la soglia di povertà. Secondo l’Africa progress report basterebbe un investimento di 55 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 per far fronte alla mancanza di energia elettrica e far diminuire i prezzi dell’80 per cento. Il punto di partenza è l’obiettivo n. 7 dei prossimi Sustainable development Goals, insieme al programma delle Nazioni Unite per l’energia sostenibile e universale. L’Africa subsahariana sarà al centro di una “rivoluzione” energetica, con il coinvolgimento del settore privato in molti aspetti. Il piano lanciato da Barack Obama nel giugno del 2013 è già uno sforzo per inserire il settore privato in sei paesi, per aggiungere 10mila megawatt di energia efficiente e pulita e aumentare l’accesso a 20 milioni di persone. Secondo il panel, gli investimenti dovranno puntare su nuove fonti di energia rispetto a quelle usate oggi, in modo da abbassare la dipendenza dal petrolio e dai combustibili fossili, per puntare su eolico e solare:

Se non verranno intraprese subito le misure necessarie da parte dei governi locali e dalla comunità internazionale l’accesso universale all’energia avverrà non nel 2030, come auspicato anche dai nuovi obiettivi del Millennio, ma nel 2080. Troppo tardi per un vero sviluppo sostenibile del continente.


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