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Cosa sono gli Icam, le case per mamme detenute

In Italia esistono due istituti a custodia attenuata, a Milano e Venezia. Qui potrebbe vivere con suo figlio anche la mamma dell’acido Martina Levato

di Redazione

In Italia circa 100 mila bambini ogni anno varcano i cancelli di un carcere. Sono i figli dei detenuti, costretti a vivere sin da piccoli l'esperienza di colloqui, perquisizioni, grate e rimbombo di pesanti porte blindate. Tra questi, c'è chi cresce dietro le sbarre insieme al genitore, trascorrendo i primi mille giorni di vita, di fatto, da recluso. Un fenomeno che riguarda oggi pochi minori, ma ancora presente.

Secondo i dati ufficiali forniti dal ministero della Giustizia, al 31 dicembre 2014 in Italia le detenute madri erano 27, e 28 i bambini con meno di tre anni che vivevano negli istituti penitenziari. Il numero è in decrescita: negli ultimi anni è oscillato tra 40 e 50, nel 2009 i minori erano 73 e 78 nel 2008. La cifra è diminuita con il modificarsi delle condizioni generali delle carceri italiane, il maggiore accesso a misure alternative per i reati minori.

Quella di portare i figli in carcere è una possibilità prevista dalla legge 354 del 1975, che la concede alle madri di bambini da 0 a tre anni. Il senso è quello di evitare il distacco o, per lo meno, di ritardarlo. Ma gli effetti su chi trascorre i suoi primi anni di vita in cella sono devastanti e permanenti.

Il carcere di Rebibbia a Roma è uno degli istituti provvisto di una sezione nido, che oggi ospita circa 16 bambini – quattro in più della capienza naturale – tra cui molti rom. Al suo interno lavora l'associazione A Roma, Insieme che si occupa di progetti per minori in carcere. I volontari in questi anni hanno raccolto tante testimonianze che dimostrano il disagio dell'infanzia dietro le sbarre: dal bambino che chiedeva, vedendo il mare, dove fossero i rubinetti da cui usciva tutta quell'acqua, a quelli che hanno paura di camminare su un prato perché non l'hanno mai fatto. Più di un bambino, ospite a casa di un volontario, ha fatto i complimenti per “la bella cella”. Con tutta la buona volontà degli operatori, i nidi degli istituti penitenziari restano quello che sono: parte di una prigione.

Nel 2011 è stata approvata una nuova legge che consente, salvo i casi di eccezionali esigenze cautelari dovute a gravi reati, la possibilità di scontare la pena in una Casa famiglia protetta, dove le donne che non hanno un posto possono trascorrere la detenzione domiciliare portando con sé i bambini fino a 10 anni. Sono dei veri e propri appartamenti, le madri possono portare a scuola i figli, assisterli in ospedale se sono malati. Niente sbarre, niente cancelli. Sono strutture inserite nel tessuto urbano, possono ospitare un massimo di sei nuclei familiari e devono rispecchiare le caratteristiche di una casa: spazi personali, servizi, luoghi per giocare.

I circa 30 bambini reclusi si trovano attualmente in due tipologie diverse di istituti: nei reparti ordinari delle carceri, per esempio a Rebibbia o a Firenze, e poi negli Icam di Milano e di Venezia. Gli Icam – acronimo che sta per istituto a custodia attenuata per detenute madri – sono delle strutture detentive più leggere, istituite in via sperimentale nel 2006 per permettere alle detenute madri che non possono beneficiare di alternative alla detenzione in carcere, di tenere con sé i figli. Sembrano quasi asili, con corridoi colorati, agenti in borghese e senza celle. Ma è un carcere a tutti gli effetti, sotto il ministero della Giustizia. Non si può uscire e ci sono sbarre alle finestre. Semplicemente ha un aspetto esteriore un po' più a misura di bambino. Invece la Casa famiglia protetta è pensata per l'esecuzione di misure alternative.

Foto Scott Olson/Getty Images


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