Cooperazione & Relazioni internazionali

Il diario del pianista di Yarmuk

Si chiama Aeham Ahmad e suonava nel campo profughi di Damasco per tenere viva la speranza sotto le bombe. Poi gli uomini dell'Is gli hanno bruciato lo strumento e anche lui ha deciso di scappare verso l'Europa. Il racconto del suo viaggio tappa dopo tappa è pubblicato sul suo profilo Facebook

di Lorenzo Maria Alvaro

Aeham Ahmad, il pianista palestinese che per due anni è rimasto nel martoriato campo profughi di Damasco a consolare con la sua musica chi, come lui, era intrappolato e sotto assedio, è in fuga per l'Europa. Alla fine è scappato anche lui da Yarmuk, attraverso Turchia e Grecia. Il racconto di tutto il suo viaggio è riportati, come un diario, sul suo profilo Facebook. Nei mesi scorsi la sua storia era tornata d'attualità quando jihadisti dello Stato islamico, in parte presenti a Yarmuk, avevano dato alle fiamme il suo pianoforte. Era scappato con la famiglia in un vicino quartiere della capitale. E da lì la decisione di lasciare la Siria, affidandosi ai trafficanti di uomini. Ecco il suo racconto.

5 SETTEMBRE – IL SOGNO
Nel caos delle armi e della devastazione, il campo è perduto e con esso tutti i sogni dei bambini. Sognavamo un paese, una casa, hanno sfregiato la casa dentro di noi. Sognavamo l'amore, hanno sbriciolato l'amore dentro di noi. Amavamo la musica, hanno giocato con le nostre note musicali e l'alfabeto della pace. Qui nel campo ci sono bambini figli della casa e della pace. Non c'è vita nell'indifferenza. Qui Yarmuk. Il campo è stato messo sotto assedio, e così la morte si è mescolata in modo famelico alla speranza di rompere l'assedio. C'erano tanti poveri civili nel campo, non potevano andarsene perché non avevano i soldi per prendere una casa in affitto. E così sono rimasti. Dall'altra parte c'erano i mercanti di guerra, che hanno sfruttato la povera gente, vendendo cibo a carissimo prezzo. In quei giorni è apparso il pianoforte della speranza, il mio pianoforte: si spostava nelle strade di Yarmuk, cantava e suonava la musica di chi non voleva questa guerra. Suonava le melodie dell'infanzia, faceva l'amore in musica. E così lo hanno zittito, perché non amano il suono della vita. Nel 1948 mio nonno partì dalla Palestina, da una cittadina di nome Safad dove aveva incontrato mia nonna. Si sposarono ed ebbero mio padre Ahmad, nel 1952, nei territori siriani nella piana di Hawran. Poi iniziarono a spostarsi tra i campi profughi portandosi dietro le chiavi della casa e una sacca con la mappa della nostra terra, la Palestina. Andarono a Damasco, la capitale dei Gelsomini, e lì i miei nonni riposarono in pace. La famiglia si spostò dal campo di Sbeneh, a sud di Damasco, al campo di Danoun e infine a Yarmuk. Ed è lì che sono nato io. Poi nel 2012 la gente del campo di Yarmuk fuggì. Non rimase quasi nessuno, soltanto poche persone e io. Sarà questo l'ultimo posto nel quale vivremo e moriremo?

10 SETTEMBRE – LA SPERANZA
Da adesso in poi sarà splendido. Continueremo a cantare. Canteremo per partire. E sperare, e amare.

13 SETTEMBRE – LA FUGA
Sono uscito dal campo di Yarmuk dopo un assedio di tre anni. Un assedio di dolore e fame. Sono fuggito con mia moglie e i miei figli, ma i miei genitori si sono rifiutati di lasciare il campo. Sono uscito dal campo per andare a Damasco, e per la prima volta ho potuto suonare musica fuori dall'assedio. Poi ho continuato il viaggio ho pagato molti soldi per andare verso nord, ad Hamah, ma poi mi hanno arrestato e trattenuto per tre giorni con mia moglie e i miei figli perché cercavo di viaggiare in modo illegale. Il tribunale di Homs mia ha rilasciato e sono partito ancora: Yarmuk-Antakya: da qui continueremo a cantare. Dopo l'assedio, dopo il dolore e le devastazioni, eccoci a Smirne, in Turchia. Vogliamo partire, andare. In Grecia e poi in Europa, ma in sicurezza. Decine di persone annegano.

14 SETTEMBRE – IL MARE
Carissimo Mediterraneo, mi chiamo Aeham e vorrei navigare sicuro tra e tue onde. La gente qui vuole soltanto partire per l'Europa e paga un occhio della testa per farlo. Sale su gommoni che possono ribaltarsi in pochi secondi, trascinando la vita nei tuoi profondi abissi. Qual è dunque la soluzione? Vorremmo che la Turchia aprisse le sue frontiere con la Grecia e ci lasciasse passare via terra in sicurezza, lontano dai barconi della morte. Il mare è molto mosso ad agosto e settembre, così la gente ha iniziato a lottare per riuscire a salire su un gommone. Si dorme in vicoletti e posti sudici e moltissimi siriani dormono per strada. I siriani non sono l'unico popolo che sta dirigendosi in Europa. Ci sono persone che arrivano da Iraq, Egitto, Serbia, Albania e Afghanistan. Partono per cercare una vita migliore. Ma ciò ha reso il prezzo di un passaggio in gommone ancora più caro. Costava 200 dollari, adesso ne costa 1250, perché ci sono moltissimi rifugiati a Smirne, da dove queste barche partono.

Traduzione a cura di Anna Bissanti, pubblicata su Repubblica il 16-09-2015. Foto e video sono del profilo Fb di Aeham Ahmad


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