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Le donazioni per il Nepal? Non finanzieranno la ricostruzione del tempio

I sindacati milanesi sono amareggiati ma decisi: i 700mila euro raccolti all'interno di Expo per il Nepal finanzieranno un progetto di formazione di lavoratori edili, già studiato con Save the Children. «È una priorità individuata dalla Conferenza di Kathmandu. Il Nepal non può appropriarsi dei soldi donati dai lavoratori (anche se ci ha già provato)»

di Sara De Carli

Antonio Lareno, responsabile Expo Cgil Milano e Renato Zambelli, responsabile Expo Cisl Milano sono ancora increduli: «Ieri, in Expo, tutti noi dei sindacati eravamo allibiti. Quello del ministro del Commercio estero del Nepal, Sunil Bahadur Thapa, è stato un intervento a gamba tesa», dice Lareno. «Siamo amareggiati, non solo il ministro non ha mai ricordato i sindacati, ma ha parlato dei soldi donati grazie alla nostra iniziativa di solidarietà come se fossero suoi», gli fa eco Zambelli.

I sindacati non ci pensano proprio che i 700mila euro raccolti all’interno del sito espositivo di Expo 2015 grazie all’iniziativa lanciata da Cgil, Cisl, Uil e Expo2015 nei giorni immediatamente successivi al terremoto possano essere utilizzati per «la ricostruzione del tempio di Kasthamandap, a Kathmandu», come annunciato ieri a Milano da Bahadur Thapa: «Non siamo d’accordo e non era questa la strada su cui ci si stava muovendo. Nei rapporti di solidarietà internazionale c’è una regola non scritta, maturata dalle esperienze purtroppo negative del passato: i soldi non si danno direttamente a un Governo, ma si impiegano in un progetto monitorato, ovviamente concordato con il Governo locale. È una questione di trasparenza e di rendicontazione, il messaggio che sta accanto alla teca per le donazioni non parla di ricostruzione di templi», dice Lareno.

Il fatto è che i sindacati italiani ed Expo non solo avevano già in mente l’ambito a cui destinare i fondi raccolti, ma avevano già lavorato parecchio al progetto specifico: «Si tratta di un progetto di formazione professionale nel campo dell'edilizia. È lo stesso Governo del Nepal che ha dichiarato, per mezzo del proprio ministro delle finanze, che il Nepal ha un urgente bisogno formativo per 50.000 lavoratori da impiegare nell’edilizia, in vista di una ricostruzione che risponda questa volta a dei criteri di sicurezza antisismica». Lareno ripercorre le tappe: «La dichiarazione è stata fatta all’indomani della Conferenza di Kathmandu, poi ad agosto è stata costituita la National Authority for Reconstruction per la validazione dei progetti ricostruttivi ed la gestione dei fondi raccolti attraverso la solidarietà internazionale e a inizio settembre a Kathmandu si è svolto il meeting internazionale di solidarietà tra i sindacati mondiali ed i sindacati del Nepal, al quale ha partecipato anche una delegazione italiana, sul tema “la Ricostruzione del Nepal attraverso la creazione di lavoro dignitoso”, che si è concluso con la stesura di una road map decennale per la ricostruzione, accolta dal Governo».

Tutto chiaro, tutto lineare, tutto coerente: la sensibilità dei sindacati si sposava perfettamente con la reale necessità del Nepal. Sindacati ed Expo si erano già anche riuniti quattro volte con gli esperti di Save the Children, l’ong individuata come partner operativo in Nepal, in virtù della sua decennale esperienza in loco. L’ultima revisione del progetto porta la data 10 settembre 2015: si tratta di un progetto triennale, su sei aree tematiche, di cui quella dedicata al supporto alla ricostruzione e alla creazione di rifugi sicuri sarebbe da realizzare con il supporto dei 700mila euro della raccolta made in Expo e prevede un training specifico per 500 muratori e falegnami e una formazione di orientamento per 2mila persone.

Mancavano alcuni dettagli, si pensava a un lancio importante a fine ottobre, in occasione dei sei mesi del terremoto in Nepal e a ridosso della chiusura di Expo: «Per questo ieri noi, nel nostro intervento, siamo stati generici. Ma subito dopo, il ministro con quella sua dichiarazione ci ha spiazzati. Non siamo d’accordo, cercheremo il modo di sbrogliare questo incidente, ma è non è pensabile che qualcuno si possa impossessare così di 700mila e più euro donati dai visitatori», ribadisce Lareno.

«Non è nemmeno la prima volta che si tenta di “appropriarsi” di questi soldi», confida Zambelli: «già in passato c’è stato un sondaggio informale per capire se fosse possibile utilizzare le donazioni per pagare il padiglione e chiudere i conti dell'imprenditore privato nepalese con la ditta bresciana a cui si è appoggiato. Ovviamente abbiamo rifiutato».


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