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Cooperazione & Relazioni internazionali

Quello straordinario tam tam per i rifugiati che nobilita l’Europa

Si moltiplicano ogni giorno i gruppi auto-organizzati di aiuti concreti ai migranti in ogni angolo della Fortezza Europa. Ecco come funzionano e quanto stanno facendo le migliaia di persone che, al contrario dei decisori politici, stanno dando un senso al Nobel per la pace ottenuto nel recente passato dall'Unione europea

di Daniele Biella

È finito il tempo dell’indignazione di fronte alle immagini dell’odissea dei profughi che cercano la salvezza in Europa. È finito perché ora più che mai si può passare all’azione, e chi ha i mezzi per farlo ma rimane seduto davanti alle immagini della televisione non ha più attenuanti. Stiamo parlando di una rete di persone, volontarie, che un giorno dopo l’altro, sull’onda delle tante situazioni drammatiche alle frontiere dell’estate appena conclusa, si sono messe in moto: “raccolte di vestiti e cibo, ma anche presenza fisica, a fianco dei profughi. E soprattutto, un coordinamento generale che ha superato i confini degli Stati e ora si muovo in modo sempre più coordinati in tutti i punti caldi della Fortezza Europa”, spiega Raffaella Piazzi, 48 anni, che da Bologna è una dei principali factotum italiani di queste nuove forme di solidarietà “basate su poche parole e tanta pratica”, che stanno riscattando il popolo europeo di fronte all’incapacità decisionale e geopolitica dei propri leader politici nel gestire i fenomeni migratori da Africa e Medio Oriente.

Stanno nascendo un sacco di iniziative straordinarie, trasversali, che partono dalle esigenze specifiche legate a una particolare situazione e da lì diffondono aiuti a macchia d’olio”, spiega Piazzi, che dedica al sostegno ai profughi – compresa la collaborazione con le persone come l’attivista Nawal Soufi, il sacerdote Mussie Zerai e le reti come Watch the med che comunicano alle guardie costiere le chiamate di sos dal mare ricevute – ogni momento libero dopo la famiglia e il lavoro all’Istituto nazionale di fisica nucleare, venendo anche da un’intensa esperienza di volontariato nella disabilità con l’associazione Amici di Magu. “Proprio lo scorso 8 ottobre è partita una macchina da Bologna con coperte e altri indumenti contro il freddo per un gruppo di persone al confine croato”, racconta, “un viaggio organizzato in poche ore e sostenuto da numerosissime donazioni dopo il tam tam via social network, sia di materiale che di fondi, tanto che a un certo punto per questa specifica iniziativa si è dovuto chiedere di interrompere”. E il cuore dell’incredibile aumento delle persone disposte a mettersi in gioco per chi arriva da lontano è proprio facebook: è qui che, spesso con nomi legati alle parole refugees, welcome, help o aid (rifugiati, benvenuti, aiuto) si moltiplicano i gruppi dedicati alle varie situazioni di necessità, in ogni lingua parlata lungo la tratta che i migranti compiono a piedi e non solo.

Ecco un primo sommario elenco, utile a chiunque voglia prendervi parte.

Refugees Welcome (Germania)
Benvenuti Rifugiati – Refugees Welcome Italia
Refugee Aid Croatia
Help the refugees in Macedonia
Refugees, welcome to Slovenia
Austrian network for refugees
Let's help refugees in Hungary
Refugees Aid Serbia
Refugees welcome Finland
Save refugees on their ways to Europe
W2eu. info – Welcome to Europe

“L’auto-organizzazione è la cosa più straordinaria di tutte, perché fa capire come ognuno possa fare la propria parte senza dovere per forza stravolgere la propria vita”, sottolinea Piazzi. Auto-organizzazione che, tra le varie modalità di intervento, comprende una nuova virtuosa prassi: “ci sono gruppi di persone che entrano in contatto con le famiglie, in particolare siriane, già da quando cercano di lasciare la Turchia. Una volta sopravvissuti al viaggio in mare verso la Grecia, vengono seguiti e dove possibile raggiunti dai volontari di tutta Europa per aiutarli nel viaggio condividendo direttamente il cammino, per renderlo meno difficile”. Un’azione di una caratura umana indescrivibile, perché accompagna queste persone, spesso famiglie con bambini, nel momento peggiore della loro vita – avendo dovuto lasciare la casa sotto le bombe – creando circuiti di buone prassi che da una parte arginano i trafficanti di terra e chiunque voglia approfittarsi di loro, dall’altra sono un incessante monito a chi, dall’alto delle politiche europee, continua perlopiù a parlare di rimpatri nei paesi di origine o rafforzamento della sicurezza alle frontiere. Senza spendersi troppo – oltre al ricollocamento di 120mila profughi tra i vari Stati, numero molto basso, criticato dallo stesso presidente della Ue, Claude Juncker, “ridicolo data la grandezza del problema e le cifre di Libano e Giordania, che ne accettano milioni” – in un’accoglienza che oltre a essere un atto umano necessario, è sancita dalla storica Convenzione di Ginevra.


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