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Economia & Impresa sociale 

TTIP, nessun vincolo su ambiente, clima e lavoro

A lanciare l'allarme sono state le Campagne Stop TTIP, che hanno diffuso la proposta riservata della Commissione europea per un capitolo su commercio e sviluppo sostenibile. «Per garantire il rispetto dei diritti degli investitori si allestisce un tribunale speciale, mentre per i diritti sociali e ambientali c'è solo retorica», attacca la portavoce Monica Di Sisto

di Redazione

Grazie al lavoro della società civile, il Guardian ha pubblicato venerdì in esclusiva la proposta della Commissione europea per un capitolo su commercio e sviluppo sostenibile nel TTIP. Il documento, portato dai delegati di Bruxelles sul tavolo dell’ultimo round negoziale, conclusosi proprio venerdì a Miami, è stata esaminata dalla Campagna Stop TTIP Italia.

L’analisi ha confermato tutte le più gravi preoccupazioni già paventate leggendo quanto la Commissione stessa scriveva nel mandato negoziale: l’impegno a garantire «alti livelli di protezione dell’ambiente, del lavoro e dei consumatori» rimane una buona intenzione non ancorata alla realtà tramite disposizioni vincolanti e sanzioni in caso di inadempienza. Se osservata in parallelo alle volontà espresse dalle parti in tema di protezione degli investitori (ISDS o Investment Court System che sia), la proposta europea sullo sviluppo sostenibile risulta totalmente irrealizzabile. Sembra accuratamente schivata ogni formulazione linguistica necessaria ad anteporre la difesa ambientale e dei diritti del lavoro alle esigenze delle imprese di ottenere profitti a loro discapito.

Ad esempio, la bozza filtrata grazie ai movimenti contiene impegni non vincolanti per la salvaguardia ambientale e nessun obbligo di ratifica delle convenzioni internazionali in materia. Mancano del tutto le modalità con cui le parti si impegnano ad assicurare il rispetto degli obiettivi sulla biodiversità, i prodotti chimici, la pesca intensiva e il commercio illegale di animali selvatici. Stesso discorso per la dignità del lavoro. Sebbene vi siano promesse di tenere questo aspetto in alta considerazione, brillano per la loro assenza tutte le espressioni indispensabili a tradurle in pratica: le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), che hanno fissato gli standard fondamentali di protezione dei lavoratori, non vengono ritenute indispensabile premessa ai negoziati per il TTIP. Eppure gli Stati Uniti non aderiscono a cinque delle otto di queste carte internazionali.

In base alla proposta europea, tuttavia, se uno dei due blocchi si comportasse in spregio alle normative ambientali o di tutela dei cittadini, vi sarebbe la possibilità di aprire un contenzioso fra governi (State-State Dispute Settlement) per costringere l’inadempiente a mettersi in regola. Una trovata destinata a rimanere sulla carta: per attivare la controversia, un attore privato – ad esempio una organizzazione ambientalista – deve convincere lo Stato a denunciare l’altro contraente. Questo significa che deve essere così convincente da ottenere che il governo si disinteressi delle ricadute diplomatiche e si sobbarchi i costi del processo. Senza contare che, quand’anche la disputa terminasse con la condanna del colpevole, non sono previste sanzioni commerciali o penalità. A dimostrare la totale inutilità di questo meccanismo è la storia: lo State-to-State Dispute Settlement è già possibile, essendo Europa e USA membri dell'Organizzazione Mondiale del commercio. Nonostante il tribunale commerciale (Dispute Settlement Body) della WTO abbia oltre 15 anni, questo caso non si è mai verificato. Se mai dovesse sorgere, l’epilogo è già scritto: la WTO, proprio come il TTIP, mette al primo posto, nei suoi criteri di giudizio, la facilitazione del commercio rispetto a diritti sociali e ambientali, creando una gerarchia di valori opposta a quella sancita dalla maggior parte delle costituzioni europee.

«Per garantire il rispetto dei diritti degli investitori si allestisce un tribunale speciale, mentre per i diritti sociali e ambientali c'è solo retorica – dichiara Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop TTIP Italia – Gli Stati Uniti, in realtà, hanno introdotto in passato in alcuni propri trattati bilaterali meccanismi sanzionatori per chi violava quanto stabilito su ambiente e lavoro, ma stavolta insieme all'Europa se ne guardano bene, dimostrando, a un mese circa dalla celebrazione a Parigi del summit delle Nazioni Unite sul clima che con urgenza dovrebbe imporre regole per raffreddare il pianeta, che in realtà i temi sociali e ambientali sono per i nostri Governi non strategici ma puramente ornamentali. Del resto, la recente risoluzione del Parlamento europeo, chiede che le misure di lotta al cambiamento climatico adottate alla COP di Parigi vengano tutelate da denunce di fronte agli arbitrati di tutela degli investimenti, mettendo in guardia dal rischio di un'applicazione tout court della filosofia che ispira trattati di libero scambio come il TTIP».

«Grazie al lavoro della società civile crolla un altro muro di omertà eretto dai negoziatori – dichiara Elena Mazzoni, coordinatrice della Campagna Stop TTIP Italia – Lo scarso impegno della Commissione europea in tema di ambiente e diritti dei lavoratori apre una potenziale voragine nell'edificio di diritti costruito con fatica negli ultimi decenni, e si inserisce nel binario di una pericolosa deriva neoliberista tesa a cancellare, anche tramite il TTIP, le tutele dei cittadini europei».

«Ancora una volta si dimostra come il TTIP sia la testa d'ariete per sfondare i diritti all'ambiente e alla salute – conclude Marco Bersani, portavoce della Campagna Stop TTIP Italia – Da tempo abbiamo abbandonato il concetto di "sviluppo sostenibile" per quello di "società sostenibile": il primo serve a comprimere l'ambiente e i beni comuni alle esigenze del mercato, il secondo fonda sul diritto all'ambiente e ai beni comuni il futuro di un pianeta un giusto ed equo. Fermare il TTIP vuol dire aprire la strada ad un altro modello sociale e ambientale».


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