Education & Scuola

Sostegno: quella preoccupante spaccatura tra genitori e insegnanti

Per tre giorni 4.800 insegnanti si trovano a Rimini per parlare di qualità dell'inclusione scolastica. Un appuntamento caldo, in vista della imminente riforma del sostegno. Un'intervista a tutto campo con Dario Ianes, che al sottosegretario Faraone dice "la scuola non ha bisogno di eroi"

di Sara De Carli

Prende il via questa mattina la decima edizione del Convegno internazionale Erickson «La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale». Un’edizione che ha visto un boom di iscrizioi: oltre 4.800 insegnanti, educatori e professionisti si incontreranno a Rimini per riflettere sull’integrazione scolastica e sociale, su disabilità, difficoltà di apprendimento, tecnologie e metodologie didattiche innovative con l’obiettivo di confrontarsi e definire nuovi percorsi e proposte operative. Tre sessioni plenarie, oltre 80 workshop, una attesissima (e attualissima) tavola rotonda sulla iperspecializzazione dell’insegnante di sostegno prospettata dalla delega contenuta nella Buona Scuola, riforma che interessa circa 120.000 insegnanti e quasi 230.000 studenti disabili e che da mesi è al centro di un acceso dibattito: complessivamente prenderanno parola più di 200 relatori, tra cui il sociologo Zygmunt Bauman, il filosofo francese Edgar Morin e lo scrittore Niccolò Ammaniti. Dario Ianes è docente di pedagogia speciale e didattica speciale e cofondatore del Convegno di Rimini.

Professore, dopo dieci edizioni e quasi vent’anni di storia, com’è cambiata in Italia l’inclusione scolastica?

Sono passati 18 anni, sono cambiate diverse cose: la scuola italiana va sempre più verso inclusione, vent’anni fa non c’era la normativa sui DSA e sui BES, c’era solo la 104, l’orizzonte si è allargato… Prima si pensava l’integrazione solo come l’alunno con disabilità e il suo insegnante di sostegno, ora – con fatica, perché il paradigma culturale è ancora molto incentrato sulla patologia – lo sguardo si allarga e il punto approdo stanno diventando le differenze tra gli alunni, non solo la patologia, si guarda sempre più alla normale differenza individuale. Questo trend di allargamento di orizzonte si vede.

Ce ne sono altri?

Si vede anche il trend della competenza tecnica. C’è una consapevolezza maggiore, diversa tra le famiglie. È sempre più diffusa le consapevolezza di quel che si fa anche in altri Paesi, con la frustrazione del chiedere perché negli Usa fanno questo e quest’altro e la scuola italiana invece non ce la fa? C’è una richiesta di tecnica e competenze che 20 anni fa non c’era e questo crea frizione tra famiglia e scuola. Vent’anni anni fa la frizione era su quante ore di sostegno mi dai, adesso è sul fatto che l’insegnante di sostegno deve esse competente su diversi approcci tecnici. Anche a livello di ricorsi, prima il contezioso era mi devi dare più ore di sostegno, adesso è sulla qualità tecnica degli insegnanti. È una cosa ottima.

Siamo in un momento di grande fermento sul tema inclusione scolastica, alla vigilia di una modifica importante del sistema nel suo complesso. Secondo lei era tempo di mettere mano alla materia? Che rischi vede?

Bisognava metterci mano assolutamente, Morin dice che ciò che non si rigenera degenera. Dobbiamo rigenerarci continuamente, non si può sedersi sugli allori di una legislazione ben fatta ma di quarant’anni fa. Rimettere mano è importante, ma poi bisogna vedere come lo si fa. Nella delega sulla qualità dell’integrazione e dell’inclusione – per quanto ne sappiamo ora – sembrano essersi innestati quasi completamente i contenuti della proposta di legge nata da Fish e Fand, che presenta punti interessanti e punti molto rischiosi, in particolare io vedo il rischio di una formazione universitaria separata e di un ruolo blindato nel sostegno per chi deciderà di farlo. Su questo ci sono posizioni contrarie, lo abbiamo visto nei mesi scorsi. In vista del Convegno io ho fatto un sondaggio, che abbiamo chiuso ieri con 2.020 risposte.

Cosa è emerso da questo suo sondaggio online?

Una nettissima differenza di opinione fra gli insegnanti, che sono in larghissima parte – con larghissima intendo il 68/70% – contrari sia alla divisione nella formazione sia al ruolo blindato e i genitori – sono solo 165 risposte – che hanno una posizione esattamente rovesciata, c’è una fortissima prevalenza di chi è d’accordo con corso di laurea diverso e con una cattedra di sostegno “per sempre”. È preoccupante.

Morin dice che ciò che non si rigenera degenera. Dobbiamo rigenerarci continuamente, non si può sedersi sugli allori di una legislazione ben fatta ma di quarant’anni fa. Rimettere mano è importante, ma poi bisogna vedere come lo si fa.

Dario Ianes

Perché?

Perché bisognerebbe riuscire a trovare una via. Io sono convintissimo che genitori e insegnanti condividano gli stessi obiettivi: continuità, qualità, competenze, però in questo momento le soluzioni che propongono sono divergenti. Invece sono due forze che dovrebbero lottare insieme.

Come se ne esce? Come si ricompone la frattura?

Non ho idee chiare su una via di uscita, tra l’altro io ho una mia idea su come si potrebbe far evolvere la figura dell’insegnante di sostegno – un’idea che va nella direzione che tutti auspicano di competenze, qualità e continuità – ma ho capito che i tempi non sono maturi. Da quando ne abbiamo iniziato a parlare, nel 2011, abbiamo avuto molte reazioni contrare. Io capisco che lo schema classico – più qualità uguale più persone e più formate – dia più sicurezza ai genitori, che vogliono il “loro” insegnante di sostegno, lo vogliono bravo, che non cambi ogni anno…. Vogliono che il figlio stia a scuola sereno e contento, lo capisco ma questa non è integrazione e deresponsabilizzerà sempre di più i curricolari.

Necessariamente?

Se io sono un insegnante curricolare e sono in difficoltà con un alunno con disabilità che ho in classe, ma ho un docente iperspecializzato, sempre più bravo, io gli delegherò sempre di più. È ovvio. Se tu Stato mi crei insegnanti particolarmente attrezzati, i tutti molleranno a lui gli alunni con disabilità: sono vostri, siete qui per questo, avete studiato per questo, vi pagano per questo. La stessa giurisprudenza dice che l’insegnante di sostegno è una risorsa generata attraverso il PEI, che è collegato a un alunno preciso, quindi è un diritto perfetto ad avere il suo insegnante. Il fenomeno delle aule sostegno per esempio si sta diffondendo, è ovvio, perché più la situazione classe è stressata più c’è l’uscita: se poi diamo anche lo scivolo del supercompetente accadrà ancora di più. Per questo il mondo professionale, sia della scuola che accademico, è contrario.

Io capisco che lo schema classico – più qualità uguale più persone e più formate – dia più sicurezza ai genitori. Lo capisco ma questa non è integrazione e deresponsabilizzerà sempre di più i curricolari.

Dario Ianes

In questo momento lei che alternativa vede?

Nella buona scuola c’è l’organico potenziato, potremmo farlo puntando sugli insegnanti di sostegno. 100mila curricolari in più significa 2 milioni di ore settimanali in più di compresenza, se poi prendiamo i 20/25mila insegnanti di sostegno migliori d’Italia e li mandiamo in giro a fare supporto tecnico ai consigli di classe, allora arrivi più vicino all’obiettivo di formare tutti gli insegnanti. Per fare formazione devi mandare una persona competente dentro la classe, non fare corsi di formazione, che non servono a niente: devi metterti lì a far vedere quello che si può fare, in funzione delle varie problematiche e competenze. Abbiamo insegnanti di sostegno che hanno fatto master, corsi, doppie laure, sono bravissimi ma non riusciamo a valorizzarli e farli diventare patrimonio condiviso perché sono lì al fianco del loro alunno o al massimo dei 2/3 alunni con disabilità a cui sono assegnati.

Abbiamo insegnanti di sostegno che hanno fatto master, corsi, doppie laure, sono bravissimi ma non riusciamo a valorizzarli e farli diventare patrimonio condiviso perché sono lì al fianco del "loro" alunno

Dario Ianes

Il sottosegretario Faraone nei giorni scorsi ha detto che gli insegnanti di sostegno devono essere eroi per scelta. Lo condivide?

Brecht diceva “beato il popolo che non ha bisogno di eroi”. La scuola non ha bisogno di eroi ma di professionisti bravi, che lavorano nel loro ruolo. È ovvio che essere insegnante di sostegno deve essere una scelta, non un ripiego, così come fare l’insegnante di lettere deve essere una scelta e non un ripiego perché non hai trovato nient’altro. Per arrivare a questo obiettivo però devi mettere le persone nelle condizioni di lavorare bene, se li costringi dentro un ruolo blindato non può funzionare. Un’ipotesi che è venuta fuori in questi mesi di confronto è quella delle cattedre miste, è molto interessante: un insegnante farebbe alcune ore come curricolare e le altre di sostegno, avere lo status professionale di un insegnante curricolare che fa anche sostegno. È un’altra proposta che va nella direzione della normalizzazione del sostegno, con competenze diffuse.

Foto Pexels


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