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Cooperazione & Relazioni internazionali

E se ci fosse il rigore europeo tra le cause del Bataclan?

Un servizio del maggio scorso della trasmissione Gazebo documentava l'inesistenza dei controlli sulle coste greche. Anzi, proprio nei giorni in cui Tsipras negoziava con l'Unione i termini per gli aiuti, le autorità greche, non avendo denaro per gestire l'emergenza, davano documenti e visti validi a tutti senza controlli, fidandosi delle dichiarazioni dei profughi

di Lorenzo Maria Alvaro

«Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono». Questo era il messaggio che Giovanni Paolo II lanciava per la Giornata della pace del 2002. E questo oggi è un pensiero che, tra una notizia e l'altra, ad ormai 48 ore dai fatti di Parigi torna ripetutamente.

Siamo ancora nelle ore della solidarietà e delle lacrime. Ma presto arriverà il momento delle risposte. La Francia, l'Occidente, qualcosa dovranno fare. I colpi di fucile del Bataclan hanno voltato la pagina della storia. Siamo in una nuova epoca.

La risposta più istintiva, quella che da molti si leva come richiesta, è una reazione. Una reazione armata, rabbiosa, di vendetta. Guerra.

In Italia a gridare più forte degli altri (fisicamente a Porta a Porta e virtualmente sui social) c'è Matteo Salvini. Nella sua malcelata foga da campagna elettorale il leader leghista sta sfruttando ogni goccia di sangue francese per ribadire che serve un intervento armato in Siria e Libia, che serve chiudere le frontiere e che serve un cambio “culturale”: «basta dialogo, leggi e rigore».

La guerra è la risposta più consueta. Dall'11 settembre 2001 ad oggi abbiamo assistito a guerre in Iraq, Afghanistan e Libia a primavere arabe eterodirette in tutto il nord Africa e nel Medio Oriente. Il risultato sono stati una lunga serie di attentati in Europa e in tutto il resto del mondo. Da Madrid a Londra, da Sidney a Boston passando per Beirut e Tunisi. Fino ai giorni di Charlie e a quelli del Bataclan. La guerra insomma, scelta sempre come soluzione definitiva, si è svelata come una scorciatoia politica a breve termine ma dai danni innumerevoli e a lungo termine.

Salvini però fa un passo ulteriore. Oltre alla guerra, chiede la chiusura delle frontiere e un cambio di rotta sull'accoglienza. Nel farlo cala un asso che a molti era passato inosservato. Sembra che due degli attentatori siano infatti profughi arrivasti con i barconi in Grecia. I documenti trovati sulla scena, se non risultassero contraffatti o rubati, testimonierebbero questo. Ecco la prova che i migranti sono pericolosi e che vadano tenuti lontano.

Quello che Salvini finge di non sapere o forse non sa veramente è il perché sia credibile che queste persone siano arrivate proprio dalla Grecia con passaporti rilasciati proprio dalle autorità greche.

A spiegarlo c'è un bel servizio del 22 maggio scorso, di Diego Bianchi, andato in onda sul suo programma Gazebo su Rai2. (clicca qui per vederlo)

In quei giorni e già da qualche settimana infatti si stava assistendo al braccio di ferro tra Alexis Tsipras e Unione Europea sulla crisi economica greca. Erano giorni in cui la Grecia aveva le banche chiuse e i bancomat contingentati. Un paese sull'orlo della bancarotta. Non c'erano soldi per pagare gli stipendi pubblici, dunque non c'erano neanche per gestire i migranti che sbarcavano.

Come documenta il video di Zoro le autorità greche, fidandosi di quanto veniva dichiarato dai profughi, dopo averli trattenuti per una notte in tende sulla costa, concedevano loro visti e documenti a seconda della provenienza dichiarata. Visto di sei mesi per i siriani, di un mese per gli altri, Con quel documento, secondo le regole europee, a tutte queste persone era garantita la libera circolazione.

Una vera e propria falla nel sistema di sicurezza europeo alla luce del sole. Ma la priorità erano in quei giorni altre: il denaro, le banche, la finanza. Si parlava di rigore. Nessun partner aveva pensato che consentire alla Grecia almeno di occuparsi della gestione corrente sarebbe stato saggio. Come troppo spesso accade l'Europa si è concentrata sull'oggi senza avere una visione d'insieme e un orizzonte d'azione. Un visto di quelli rilasciati in quei giorni, uno di quelli di sei mesi, scade in questi giorni, in novembre.

Come ha dichiarato il Cardinal Angelo Bagnasco forse la prima cosa da fare è «un cambio politico ed economico: chi compra il petrolio dall'Is? Chi li rifornisce di armi?». Prima di decidere cosa fare insomma dobbiamo rispondere ad alcune domande. Perché senza giustizia non ci può essere pace.


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