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Sostenibilità sociale e ambientale

Il riscaldamento climatico spiegato ai teenager

Da lunedì a Parigi un appuntamento fondamentale per i destini del nostro pianeta. Qual è la partita in gioco? Quali sono i rischi che corriamo? Cosa possiamo fare cambiando i nostri stili di vita? La lezione in nove punti di Gianfranco Bologna

di Gianfranco Bologna

La XXI Conferenza delle Parti
(COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) si tinaugura a Parigi da lunedì all’11 dicembre. Obiettivo della Conferenza è quello di stare sotto la soglia dell’aumento di temperatura media di 2° rispetto all’era preindustriale (1850 circa). Come spiegarlo a un teenager? Lo abbiamo chiesto a Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia che svolge da 40 anni attività di divulgazione e progettualità sui temi della conservazione della natura e della sostenibilità. Ecco le sue nove domande e risposte accompagnate dalle illustrazioni di Marta Mandile.

1. Che cosa è il cambiamento climatico ?
È utile chiarire subito che il cambiamento climatico non deve essere confuso con la variabilità climatica che costituisce oggetto della meteorologia. Il cambiamento climatico si definisce dal punto di vista statistico come lo spostamento della media e, quindi, come un cambiamento vero e proprio. Tale variazione è fondamentalmente attribuita ad un’alterazione della composizione chimica dell’atmosfera globale. Modificazioni nel sistema climatico della Terra ci sono sempre state nel corso dei 4,6 miliardi di anni che costituiscono l’età del nostro pianeta. Molti di questi sono stati cambiamenti drastici e drammatici che hanno profondamente modificato l’evoluzione dello stesso straordinario fenomeno della vita sulla Terra. La vita è stata sottoposta nell’arco di questi miliardi di anni e fin dalla sua comparsa, anche ad episodi di “estinzione di massa” molto significativi dove si ritiene siano scomparsi persino oltre il 90% delle specie allora presenti (come è avvenuto, ad esempio, nell’estinzione di massa tra il Permiano e il Triassico 250 milioni di anni fa). Ma tutti questi sconvolgimenti hanno avuto luogo senza alcuna presenza sulla Terra dell’uomo, presenza che, invece, oggi è fortemente diffusa (con oltre 7,3 miliardi di esseri umani) ed è altrettanto bene ricordare che i lucidi motivi, scientificamente dimostrati, che ci fanno preoccupare per il nostro immediato futuro, derivano proprio dagli effetti dell’impatto continuo e crescente dei nostri modelli di sviluppo sul sistema climatico e su tutti gli ecosistemi del pianeta. In particolare dalla Rivoluzione industriale e in maniera più significativa negli ultimi 60 anni, la variazione climatica è fortemente dovuta alle attività umane. Rispetto al periodo preindustriale la concentrazione di CO2 nella composizione chimica dell’atmosfera è aumentata del 40%, dimostrazione che i modelli di sviluppo imperniati sui combustibili fossili, che hanno dato maggiore benessere economico ai Paesi più industrializzati per alcune generazioni, rischia di sconvolgere la vita di tutti i popoli per le generazioni attuali e quelle future.

2. Che cosa si intende per effetto serra?
Il riscaldamento della Terra si deve ai raggi solari che giungono sulla superficie terrestre e che non rimbalzano nuovamente nello spazio. Nell’universo qualsiasi corpo caldo, compreso il nostro pianeta, irradia energia elettromagnetica e più è caldo più le radiazioni aumentano. Quando il Sole irradia energia sulla Terra, questa si riscalda fino a raggiungere la temperatura alla quale irradia a sua volta nello spazio un’energia pari a quella in arrivo dal Sole. In questo modo il pianeta si trova in un equilibrio energetico. Mentre il Sole invia raggi ultravioletti ver- so la superficie della Terra, la Terra irradia nello spazio raggi infrarossi che sono a onda lunga. Perché possa esistere una condizione di equilibrio energetico i raggi ultravioletti in arrivo devono essere pari agli infrarossi in uscita. L’atmosfera terrestre contiene alcune molecole, come quella del biossido di carbonio o anidride carbonica (CO2), che intrappolano una parte del- le radiazioni infrarosse dirette verso lo spazio. In questo modo questi gas alterano l’equilibrio energetico: gli ultravioletti in arrivo sulla Terra sono superiori agli infrarossi diretti verso lo spazio: e si verifica un riscaldamento globale (Global Warming).

3. Perché il cambiamento climatico dovrebbe interessarci? Qual è l’impatto diretto sulle nostre vite?
Le situazioni provocate dal Climate Change sono molteplici: ad esempio con il verificarsi dell’intensificazione dei fenomeni meteorici estremi, avremo sempre di più aree geografiche che si troveranno a subire precipitazioni più forti, intense e concentrate o, in al- tri casi, periodi di siccità prolungati o periodi con significative ondate di calore spesso prolungate nel tempo. Tutto questo produce fenomeni come, ad esempio, le forti inondazioni che unendosi agli effetti dell’errata gestione dei territori e dei suoli possono causare ingenti disastri con gravi perdite umane (e ormai situa- zioni di questo tipo cominciano a diventare sempre più frequenti anche nel nostro Paese). Inoltre, aumentano i rischi di declino dei raccolti agricoli, di desertificazione dei suoli, di impatto sulle risorse idriche e quindi sulla loro disponibilità, di spostamento degli areali dei vettori delle malattie, di innalzamento dei livelli del mare, ecc. Promuovere lo sviluppo umano, salvaguardare i sistemi naturali cruciali e preziosi per la vita sul pianeta, porre fine al- la povertà, incrementare il benessere e ridurre le disuguaglianze globali sarà molto difficile in un mondo con una temperatura media globale superiore di 2°C a quella presente nell’epoca pre-industriale.

4. Quali sono le cause principali del riscaldamento climatico?
Il cambiamento climatico oggi
in atto è dovuto in maniera signifi
cativa all’intervento umano che, 
utilizzando i combustibili fossili
 (carbone, petrolio e gas naturale), ha immesso nell’atmosfera una crescente quantità di gas che modificano la composizione chimica della stessa e incrementano l’effetto serra naturale, come l’anidride carbonica o biossido di carbonio, il metano e il protossido di azoto. Le concentrazioni di CO2, CH4 (metano), e N2O (ossido di azoto) superano ora notevolmente le più alte concentrazioni registrate nelle analisi delle carote di ghiaccio negli ultimi 800mila anni. I tassi medi di aumento delle concentrazioni atmosferiche durante il secolo scorso sono ritenuti senza precedenti negli ultimi 22mila anni. Dal 1750 al 2011, le emissioni di CO2 dovute ai combustibili fossili e alla produzione cementifera hanno rilasciato circa 375 miliardi di tonnellate nell’atmosfera, mentre le azioni di deforestazione e di altri cambiamenti di uso del suolo si stima che abbiano rilasciato almeno 180 miliardi di tonnellate. Questo ha significato un totale di circa 555 miliardi di tonnellate di emissioni antropogeniche. Di queste emissioni cumulative antropogeniche di CO2, almeno 240 miliardi di tonnellate si sono accumulate nell’atmosfera, alme- no 155 sono state invece assorbite dagli oceani e 160 si sono accumulate negli ecosistemi naturali terrestri. La capacità di assorbimento di oceani ed ecosistemi terrestri può giungere fino ad un certo livello e oggi ormai cominciano a dare qualche segnale evidente di difficoltà. Non a caso gli oceani sono sempre più sottoposti al pericolo dell’acidificazione perché l’eccesso di anidride carbonica nelle acque marine ed oceaniche si traduce in acido carbonico. L’acidificazione delle acque oceaniche ha indubbiamente un pesante effetto sulle catene alimentari e porta allo scioglimento, ad esempio, dei gusci calcarei delle conchiglie dei molluschi e del plancton calcareo costituito da carbonato di calcio (CaCO3).

La composizione dell’atmosfera dopo la rivoluzione industriale ha visto crescere del 40% l’anidride carbonica, a causa dell’uso dei combustibili fossili

5. Perché ci sono scienziati che negano i pericoli del riscaldamento climatico?
Nella realtà ormai tutti sanno bene che la comunità scientifica internazionale che studia i cambiamenti climatici è concorde nel segnalare la pesante impronta umana sin dalla Rivoluzione Industriale ma, in particolare nell’arco di questi ultimi 60 anni, nella responsabilità del cambiamento climatico in atto. Tuttavia le forze produttive messe sotto accusa hanno schiera- to e finanziato specialisti, reali o presunti, per negare o minimizzare la pericolosità e gli effetti dei danni prodotti (e si tratta di effetti che hanno realmente causato la perdita di tantissime vite umane e la distruzione di interi ambienti naturali). Papa Francesco ha chiaramente espresso questo concetto ampliandolo molto e affermando, anche in occasione del suo discorso all’Onu del settembre scorso, oltre che nella sua enciclica Laudato si’ che qualsiasi danno all’ambiente è un danno all’umanità. Le grandi compagnie basate sui fossili e, in particolare alcune di esse, come la Exxon hanno speso ingenti somme di denaro per finanziare persone, per far nascere persino istituti e think tank di ricerche e produrre come obiettivo la negazione e, in ogni caso, seminare il massimo dei dubbi su tutti gli avanzamenti scientifici fatti in questi ultimi decenni nel campo delle scienze del clima. Hanno anche fortemente utilizzato gli ovvi margini di incertezza presenti nelle ricerche su temi così articolati e complessi che non seguono logiche lineari di causa ed effetto per affermare che il cambiamento climatico non è affatto responsabilità dell’intervento umano.

6. In che modo il climate change è collegato alle migrazioni?
Negli ultimi anni numerose ricerche hanno cercato di identificare i meccanismi attraverso i quali il cambiamento climatico produce un impatto sulle migrazioni. Sono così stati identificati almeno cinque processi prodotti dal cambiamento climatico che possono avere effetti sulla mobilità delle persone. Sono state identificate anche le aree geografiche dove l’impatto può essere particolarmente concentrato. I processi che possono incrementare le migrazioni umane sono fondamentalmente l’aumento delle temperature dell’aria e della superficie dei mari, in particolare ai tropici, il cambiamento delle precipitazioni, la loro maggiore o minore frequenza, la loro intensità ed erraticità, con conseguenze in termini di inondazioni e siccità, così come su eventi di più lungo termine come l’incremento della desertificazione, l’innalzamento del livello dei mari causato dalla fusione dei ghiacci a causa del riscaldamento climatico, le trasformazioni di sistemi cli- matici regionali evidenti come nel caso degli impatti degli effetti del fenomeno del El Niño e dei monsoni asiatici, con un aumento degli eventi meteorologici estremi.

7. C’è molta attesa per il summit di Parigi. Cosa potrebbe cambiare in positivo questo vertice?
Nonostante la Convenzione
Quadro sui Cambiamenti Climatici
delle Nazioni Unite firmata nel
1992, il successivo Protocollo di Kyoto – approvato nell’ambito della Convenzione nel 1997 – e più di vent’anni di negoziati internazionali le emissioni di gas serra sono continuamente cresciute, le concentrazioni di anidride carbonica nella composizione chimica dell’atmosfera hanno raggiunto le 400 ppm (parti per milione) che risulta essere la cifra più alta raggiunta negli ultimi 800mila anni e gli effetti dei cambiamenti climatici si sono cominciati a percepire in varie parti del mondo. È evidente che l’attesa per la 21° Conferenza delle Parti della Convenzione che si terrà a Parigi e che deve assolutamente approvare un accordo globale sul clima sono giustamente molto alte. Oggi la temperatura media della superficie terrestre è di qua- si un grado superiore a quella del periodo preindustriale (0,85°C tra il 1880 e il2012), mentre la soglia di sicurezza acquisita nella trattativa sul nuovo Accordo globale per il clima che si dovrebbe definire a Parigi nel prossimo dicembre, sarebbe quella di contenere l’aumento della temperatura in +2°C rispetto al periodo preindustriale. Per poter restare con una probabilità superiore al 50% entro l’aumento di 2°C occorrerebbe fermare l’aumento della concentrazione di gas di serra intorno alle 450 ppm. La quantità deve essere in linea con una traiettoria indicata dall’IPCC che, tenendo conto dei fattori di incertezza, indica che le emissioni di gas serra nel 2050 dovrebbero essere, a livello mondiale, tagliate del 40-70% rispetto a quelle del 2010. Con questo taglio sarebbe possibile gestire il budget rimanente delle emissioni per poi raggiungere quella che possiamo definire la neutralità carbonica – emissioni uguali agli assorbimenti – entro fine secolo, con buona probabilità di non superare l’aumento di temperatura di 2°C.

8. Tecnologie come il fotovoltaico o l’avvento di veicoli elettrici con- sentiranno di rendere più pulite le economie dei Paesi ricchi?
Certamente e non solo dei Paesi ricchi. Tutte le in- novazioni tecnologiche nel campo delle energie cosiddette pulite che ormai sono tantissime e di grande valore, dovrebbero essere utilizzate al meglio per favorire la transizione. Inoltre è necessario aiutare i Paesi meno abbienti, da un punto di vista economico e per la disponibilità delle nuove tecnologie calibrate rispetto alle necessità e alle esigenze locali e questi aspetti sono anche parte della trattativa negoziale.

9. Che cosa possiamo fare nella nostra quotidianità per mettere un freno al clima che cambia?
Esempi concreti sono quelli ormai ben noti relativi al muoversi il più possibile senza l’utilizzo dell’auto- mobile e usando invece gambe, mezzi pubblici e tre- ni. Ma anche ridurre il consumo della carne (per fare un chilo di carne di vitello ci vogliono almeno 13 kg di mangimi). Ognuno ha lo stesso diritto a un adeguato livello di proteine nella dieta, e perché questo accada le perso- ne più benestanti devono mangiare meno carne. Efficientizzare la propria abitazione (dalla sostituzione delle lampadine, agli elettrodomestici con le migliori performance energetiche, alla coibentazione per evi- tare la dispersione del calore ecc.).

I comportamenti individuali possono influire sui cambiamenti climatici. Ad esempio limitare il consumo di carne: ogni chilo richiede 13 chili di mangime

8. Tecnologie come il fotovoltaico o l’avvento di veicoli elettrici con- sentiranno di rendere più pulite le economie dei Paesi ricchi?
Certamente e non solo dei Paesi ricchi. Tutte le in- novazioni tecnologiche nel campo delle energie cosiddette pulite che ormai sono tantissime e di grande valore, dovrebbero essere utilizzate al meglio per favorire la transizione. Inoltre è necessario aiutare i Paesi meno abbienti, da un punto di vista economico e per la disponibilità delle nuove tecnologie calibrate rispetto alle necessità e alle esigenze locali e questi aspetti sono anche parte della trattativa negoziale.

9. Che cosa possiamo fare nella nostra quotidianità per mettere un freno al clima che cambia?
Esempi concreti sono quelli ormai ben noti relativi al muoversi il più possibile senza l’utilizzo dell’auto- mobile e usando invece gambe, mezzi pubblici e tre- ni. Ma anche ridurre il consumo della carne (per fare un chilo di carne di vitello ci vogliono almeno 13 kg di mangimi). Ognuno ha lo stesso diritto a un adeguato livello di proteine nella dieta, e perché questo accada le perso- ne più benestanti devono mangiare meno carne. Efficientizzare la propria abitazione (dalla sostituzione delle lampadine, agli elettrodomestici con le migliori performance energetiche, alla coibentazione per evi- tare la dispersione del calore ecc.).


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