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Cooperazione & Relazioni internazionali

Alessia Mosca: «La Cina sarà il tema caldo del 2016»

Per l’europarlamentare PD, che è anche membro della Commissione INTA (Commercio internazionale), la concessione tout-court dello status di economia di mercato alla Cina produrrebbe effetti drammatici sulle economie dei paesi manifatturieri

di Martino Pillitteri

Bruxelles – Sull’immigrazione gli Stati nazionali hanno svilito il lavoro del Parlamento Europeo. Sul TTIP tutte le carte sono sul tavolo, un buon accordo è possibile. La direttiva per aumentare il numero di donne nei consigli di amministrazione è bloccata. E la Cina sarà protagonista del dibattito politico ed economico del 2016. Vita.it fa il punto di un anno di lavoro del Parlamento Europeo e le sfide in agenda con l’europarlamentare del PD / S&D.

Partiamo dal tema immigrazione. Sono stati 12 mesi intensi. La politica ha fatto il proprio lavoro?
Si, su questo tema il Parlamento Europeo ha lavorato bene. Prima ancora che esplodesse la crisi, il Parlamento si era già espresso chiedendo una posizione comune dell’Europa, una condivisione delle responsabilità e l'introduzione del sistema obbligatorio delle quote, entrambe richieste successivamente entrate nell’agenda immigrazione della Commissione Europea. Da sempre, non solo nell'ultima grande emergenza degli ultimi due anni, il Parlamento è l’istituzione europea che ha portato avanti in modo più convinto la necessità di una responsabilità condivisa su questo tema. Spesso però, le decisioni prese dal Parlamento sono state sminuite e indebolite da altre istituzioni, in primis dal Consiglio europeo, ovvero i governi nazionali. E' importante che, quando si critica l’Europa, si abbia ben chiaro quale sia, in realtà, l'istituzione che non sta adempiendo al proprio dovere. Per l’80 e 90 per cento dei casi sono i singoli paesi membri che in sede di Consiglio europeo non trovano una decisione.

Delle decisioni che il Consiglio europeo ha svilito, qual è la più eclatante?
L'obbligatorietà delle quote, sparita dalle decisioni prese dal Consiglio, con i risultati che oggi vediamo. Dei 160.000 ricollocamenti richiesti da Parlamento e Commissione, a metà novembre ne erano stati effettuati 130.

Passiamo al tema degli accordi commerciali.
Partiamo da una premessa. Nei prossimi anni la grande parte del Pil mondiale sarà prodotto al di fuori dell’Europa. L’Unione Europa può cogliere gli effetti benefici di questa crescita solo se riesce a commerciare i propri prodotti, bilanciando la scarsa domanda interna con una forte domanda esterna, e se riesce a stabilire delle regole che permettano di ampliare la diffusione, a livello mondiale, di garanzie e diritti che in Europa sono ormai assodati, come la tutela dei lavoratori e dei consumatori. L'obiettivo della politica commerciale europea è sicuramente l'aumento del benessere economico – e, dunque, dell'occupazione – ma anche contribuire al miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi terzi. Diventa importantissimo, in questo senso, il ruolo più centrale che il Parlamento europeo ha ottenuto col Trattato di Lisbona e l'ulteriore spazio che, nella prassi, abbiamo reclamato, con un coinvolgimento anche durante i negoziati e non solo per il voto finale.

Sul TTIP con gli Usa?
Come gruppo S&D non abbiamo sciolto la riserva in quanto il testo dell'accordo materialmente non esiste, è ancora un work in progress. In generale, penso che sia un'enorme opportunità, per i due motivi di cui parlavo prima, la crescita economica ma anche la possibilità di creare standard e regole a livello mondiale, in primo luogo sull'ambiente e sulla tutela dei lavoratori e dei consumatori, che prima o poi – e in questo senso va guardato con interesse e sospetto il Trans Pacific Partnership – qualcuno fisserà. Allo stesso tempo, non abbiamo intenzione di dare il via libera a nient'altro che non sia un buon accordo. Se il TTIP fosse in contrasto con i nostri principi lo rigetteremmo subito. A oggi ci sono dei capitoli dove le distanze sono accentuate: sul mercato degli appalti pubblici, sulla difesa dei prodotti di qualità attraverso le indicazioni geografiche, sullo sviluppo sostenibile. Come in tutti i negoziati commerciali, anche in questo caso tutte le carte sono sul tavolo, nel senso che si sta procedendo in maniera parallela su tanti capitoli negoziali. Le chance di arrivare a un buon accordo ci sono, se si trova la quadra potrebbe chiudersi anche presto. La finestra di opportunità realistica è meno di un anno, prima che si entri nel vivo della campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti.

E il riconoscimento di economia di libero mercato della Cina?
E’ un tema di cui si parlerà tanto l’anno prossimo e che andrà risolto prima del prossimo dicembre, quando scadrà una norma dell'Organizzazione Mondiale del Commercio che permetteva ai Paesi membri dell'organizzazione stessa di non considerare la Cina un'economia di mercato. Il problema non è l’etichetta, ma che tipo di impatto questo riconoscimento può avere sul calcolo dei prezzi rispetto alle investigazioni nei casi di anti-dumping and anti–subsidies. Investigazioni che servono a evitare una competizione sleale con prezzi cinesi così bassi che spiazzano la concorrenza. Per noi paesi manifatturieri questo riconoscimento di economia di mercato in modo automatico sarebbe drammatico.
Io credo molto nell'apertura, che è veicolo di pace oltre che di benessere economico, ma a patto che sia accompagnata da un sistema di regole condivise. Altrimenti è come accettare di giocare una partita dove una squadra schiera 22 giocatori e l’altra 11.

E la Cina sta tenendo duro?
Di più, sta tenendo durissimo, giocandosi la carta del rispetto degli obblighi OMC, nonostante le interpretazioni giuridiche che abbiamo avuto modo di vedere non siano concordi…

A che punto siamo con il women empowerment
C’è una proposta di direttiva volta a riequilibrare la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle società europea che, nonostante il via libera di Parlamento e Commissione, ancora bloccata in sede di Consiglio, a causa di una minoranza di blocco che non intende approvarla. Di fatto è la trasposizione sul piano comunitario della legge italiana di cui sono stata promotrice, anche se quest'ultima era molto più incisiva, prevedendo delle vere e proprie quote obbligatorie. A livello europeo il testo è più debole, proprio per non dare adito a obiezioni riguardo il principio di sussidiarietà, ma nonostante questo alcuni Paesi continuano a opporsi.

Chi rema contro?
I paesi dell’est, adesso anche la Polonia a seguito del cambio di governo, e tra gli Stati più grandi Germania e Regno Unito.


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