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Indice di Sviluppo Umano: il lavoro equo e dignitoso per tutti al centro

È la Norvegia il paese dove si vive meglio: lo conferma ancora una volta l’indice di Sviluppo Umano, calcolato dall’agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp). Quest’anno l’aspetto approfondito è il lavoro: meno persone vivono in condizioni di povertà ma aumentano le disuguaglianze, geografiche e di genere. Italia ventisettesima

di Donata Columbro

Con un’aspettativa di vita di 81 anni e il prodotto interno lordo pro capite di 64mila dollari, il paese scandinavo è il primo della classifica compilata ogni anno dall’Undp con l’Indice di Sviluppo Umano. L’indice, nato nel 1990 dall’idea dell’economista pakistano Mahbub ul Haq, e dall'economista indiano Amartya Sen, viene utilizzato oggi dall’Onu per valutare la qualità della vita nei paesi membri. È calcolato oltre mettendo insieme i valori del PIL procapite, l'alfabetizzazione e la speranza di vita. Il punteggio assegnato ai paesi varia da 1 a 0, dove 0 è il minimo e l’1 il massimo.

L’Italia è ventisettesima in classifica con un punteggio di 0,873. Insieme allo sviluppo umano l’Undp pubblica i dati usati per stilare la classifica, e l’indice di disuguaglianza.

Qui il link per navigare la tabella

Gli ultimi tre paesi in questa classifica sono Eritrea, Repubblica Centrafricana e Niger. La Siria, devastata da una guerra di oltre quattro anni e mezzo, è scesa al 134mo posto.

Al centro del rapporto quest’anno c’è il lavoro, considerato “cruciale per il progresso umano”, da cui la richiesta ai governi da parte dell’Undp per l’impegno a garantire lavoro equo e dignitoso per tutti. Anche se negli ultimi 25 anni due miliardi di persone sono uscite dalla condizione di “estrema povertà”, sono ancora 830 milioni i lavoratori che vivono con meno di 2 dollari al giorno. Più di 200 milioni di persone, inclusi 74 milioni di giovani, sono disoccupate, mentre 21 milioni di persone oggi vivono in condizioni di lavoro forzato.

Differenze di genere nella distribuzione del lavoro.

Le donne svolgono il 52 per cento del lavoro globale, e rimangono evidenti disuguaglianze nella sua divisione. Il lavoro svolto dalle donne è con più facilità non remunerato rispetto al lavoro svolto dagli uomini, con tre su quattro ore di lavoro non retribuito effettuate da donne. Gli uomini svolgono 2 su 3 ore di lavoro retribuito. Inoltre, sulle donne spesso ricade il carico del lavoro di cura dei componenti della famiglia e questo sbilanciamento delle responsabilità peggiora con l’aumento dell’età della popolazione.

Quando il lavoro delle donne viene retribuito, il guadagno è in media inferiore del 24 per cento del guadagno percepito dagli uomini. In Europa, il salario orario delle donne è in media il 16 per cento più basso di quello degli uomini. L’Italia è “in fondo” a questa classifica, ma questa volta è un bene: le differenze tra stipendi sono minori rispetto alla media europea, mentre in paesi che si trovano anche in posizioni più avanzate dell’Indice di Sviluppo Umano vediamo cifre superiori.

In più, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il 61 per cento delle persone occupate a livello globale lavora senza contratto, e solo il 27 per cento della popolazione mondiale gode di protezione sociale completa.

Le raccomandazioni riguardano dunque l’intervento immediato dei governi per creare opportunità di occupazione che garantiscano il rispetto dei diritti, della sicurezza e del benessere dei lavoratori.


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