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Politica & Istituzioni

Il Jobs Act discrimina le persone con disabilità grave

Ricorso alla Commissione Europea di alcune associazioni contro la norma che introduce l'obbligo di chiamata nominativa nell'assunzione di persone con disabilità

di Sara De Carli

Undici associazioni – tra cui CoorDown e l'Associazione Tutti Nessuno Escluso – più una quindicina di privati cittadini hanno presentato oggi un ricorso alla Commissione Europea contro le nuove norme introdotte dal Jobs Act in materia di assunzioni delle persone con disabilità. Contestano in particolare l’estensione della chiamata nominativa come modalità per l’assunzione di lavoratori disabili, a scapito della chiamata numerica (art. 6 del Dlgs 151/2015 che modifica l’art. 7 della legge 68/99): una decisione – è scritto nel ricorso presentato dall’avvocato Giuliana Aliberti – che «comporta un evidente pregiudizio per tutte le persone disabili in graduatoria nelle liste di collocamento ed in attesa di essere correttamente inserite nel mondo del lavoro», un «deficit di tutela». Pertanto le associazioni chiedono «alla Commissione di avviare una procedura di infrazione nei confronti dello Stato Italiano», «verificata la non conformità della normativa italiana al diritto dell’Unione Europea».

Sergio Silvestre è il presidente Nazionale di CoorDown, un’associazione che ha sostenuto il ricorso. Presidente, l’iniziativa del ricorso è dell’Associazione Tutti Nessuno Escluso, perché CoorDown l’ha sostenuta?

Sono mesi che esprimiamo la nostra ferma contrarietà alle modifiche introdotte dal Governo alla legge n. 68/99: crediamo che l’abolizione del criterio numerico nelle procedure penalizzi le persone con disabilità più gravi, introduca la possibilità di discriminazione di queste persone e favorisca meccanismi non trasparenti.

Come funzionava prima?

C’era un sistema di obblighi crescenti a seconda delle dimensioni dell’azienda, ma diciamo che nelle aziende più grandi il 60% delle assunzioni poteva avvenire con chiamata nominativa, il restate 40% doveva obbligatoriamente avvenire con chiamata numerica. Questo meccanismo tutelava le persone con disabilità più gravi, che difficilmente le aziende sceglierebbero.

Questa modifica è stata presentata proprio come un andare incontro alle persone con disabilità intellettiva, sostenendo dando alle aziende la possibilità di mettere “la persona giusta al posto giusto” avrebbe eliminato le ritrosie legate alla mancata conoscenza delle persone e delle loro potenzialità…

È vero, ma ritengo inaccettabile che un favore alle persone con disabilità intellettiva vada a discapito di persone con altre disabilità. È vero che tutte le assunzioni di persone con disabilità intellettiva avvengono per chiamata nominativa, proprio perché si tratta di inserimenti più difficili. Forse si poteva aumentare la percentuale, ma portarla al 100% mi sembra lesivo del diritto al lavoro di altre persone con disabilità. Non contestiamo lo strumento della chiamata nominativa, ma quell’averla portata al 100%.

Perché vede un rischio di discriminazione reale? Non potrebbero a questo punto davvero essere tutti chiamati per chiamata nominativa?

Se l’inserimento lavorativo avvenisse tramite i servizi per il collocamento mirato ci sarebbero le garanzie di un soggetto pubblico e la cosa potrebbe anche funzionare. Qui a Pordenone esiste un ufficio unico che lavora molto bene, chi ci lavora gira davvero le aziende per mettere insieme l’offerta e la domanda, fa accompagnamento… il 90% delle persone con disabilità intellettiva che può lavorare qui lavora. Il problema invece è che in tante zone questi uffici non esistono o che gli inserimenti lavorativi si fanno tramite soggetti convenzionati.

Alcune associazioni, come Fish, sono favorevoli a questa novità. L’Osservatorio sulla disabilità come si è espresso in materia?

Non si è mai espresso, perché in effetti non c’è un giudizio unanime. Stiamo lavorando a delle Linee Guida per il monitoraggio degli effetti del Jobs Act sul lavoro delle persone con disabilità.


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