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Cooperazione & Relazioni internazionali

Renzi cala il tris in Africa

Dopo Mozambico, Angola e congo-Brazzaville nel 2014, Kenya e Etiopia nel 2015, ecco la volta di Nigeria, Ghana e Senegal, dove il premier Matteo Renzi si reca dal 1 al 3 febbraio. Si tratta del terzo tour africano in meno di due anni. Un record, che conferma quanto aveva detto Renzi in un’intervista a Vita.it lo scorso anno: “Fare dell’Africa una priorità della politica estera italiana”.

di Joshua Massarenti

«L’Africa è la più grande opportunità che abbiamo davanti a noi, ma siamo rimasti vittime di decenni di trascuratezza e anche di un certo atteggiamento talvolta ideologico di alcuni mondi – sia di mondi culturalmente legati a una visione dell’Africa come terra di conquista, sia di mondi legati all’Africa come terra mercificata e sfruttata dalle grandi multinazionali del pianeta, quindi parlo dei due estremi diversi -, che hanno sempre raccontato l’Africa come un luogo magari culturalmente affascinante, suggestivo ma privo di una reale forza economica. Io invece sono convinto che l’Africa nei prossimi vent’anni sarà alla guida di tanti fenomeni economici. Bisogna un po’ scommettere su alcuni governi, quelli che stanno portando a casa risultati concreti, e che hanno delle crescite straordinarie, ma che continuano ad essere dipendenti dagli aiuti allo sviluppo». Con Matteo Renzi ci eravamo lasciati così. Con un’intervista rilasciata a bordo dell’aereo presidenziale che da Nairobi ci riconduceva a Roma. Era il 16 luglio 2015. All’epoca forse qualcuno non aveva preso sul serio le parole del Premier. Oggi saranno ancora di meno. Perché in Africa Renzi fa sul serio.

Lo dimostra il nuovo tour che da oggi al 3 febbraio lo porterà prima in Nigeria, poi in Ghana e Senegal. È il terzo tour in meno di due anni. E se vogliamo davvero fare una conta precisa, il terzo in 19 mesi. Un record. Ad eccezione di Romano Prodi, mai un Presidente del Consiglio aveva posto un’attenzione così grande al continente africano. Certo, c’è chi dice che Renzi ha bisogno dei governi africani per sperare di dare all’Italia un posto al Consiglio di sicurezza nel 2017-2018, altri invece giustificano la visita di Stato in Nigeria con l’unico intento di discutere di petrolio con l’omologo Mohammed Buhari. Sarà. Ma forse, anzi sicuramente, c’è qualcosa di più. Intanto perché l’Africa non è più quella di 20 anni fa. E neanche molti dei loro leader, che sanno che il continente africano fa ormai gola a tutti. Contrariamente a quanto accadeva ieri, oggi hanno l'imbarazzo della scelta. L’Italia non fa sul serio? Nessun problema, ci sono gli altri. E sono in tanti. Non solo i soliti (Stati Uniti, Cina, Brasile, Germania, Francia e Gran Bretagna), ma anche India, Turchia, Qatar, Indonesia, ecc. Insomma, chi parla ma poi non fa ha poche speranze di sfondare da noi. Renzi quella intenzione ce l’ha. Non solo le multinazionali italiane come ENI o la Salini.

L’ultima prova ci è data dall’export italiano, in crescita del 30% registrata in Ghana – sì avete capito bene, il Ghana, non una potenza energetica come la Nigeria o il Mozambico – nei primi otto mesi del 2015. Un’impresa che non è casuale, ma il risultato dell’inusuale attenzione politica rivolta all’Africa, dimostrata per altro dai viaggi di Mario Giro (neo vice ministro degli Esteri con delega alla cooperazione internazionale) e Carlo Calenda (protagonista di una missione preparatoria proprio in Ghana a dicembre) in questo continente. Nel terzo tour renziano, la delegazione italiana sarà composta, tra gli altri, da Cassa depositi e prestiti, Sace, Ice, Simest, Confindustria e imprese come Eni, Enel e Trevi.

Ma l’interesse del Premier non si riduce all’economia o alla diplomazia commerciale, che certò è un pezzo molto importante delle ambizioni italiane in Africa. Nei tre paesi che andrà a visitare, Renzi si presenterà con alle spalle una cooperazione italiana che sta cambiando totalmente pelle e con numeri importanti sugli aiuti allo sviluppo. Nel 2015, ad Addis Abeba, il Presidente del Consiglio aveva affermato la sua volontà di fare ogni sforzo necessario per consentire all’Italia di raggiungere il quarto posto nella classifica dei donatori del G7 entro il 2017, l’anno in cui il nostro paese ne assumerà la presidenza.

Dati alla mano, Paolo Gentiloni ha ricordato pochi giorni fa «l’importante investimento strategico realizzato dal Governo, che ha stanziato 120 milioni di Euro aggiuntivi per le attività di cooperazione allo sviluppo nel 2016, incrementando le risorse dedicate della Farnesina del 40%». Altri fatti importanti: il lancio dell’Agenzia per lo sviluppo diretta da Laura Frigenti dal 1 gennaio 2016; la nomina di Mario Giro alla poltrone di vice ministro per la cooperazione internazionale; la prima riunione del Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo presieduto da Gentiloni durante il quale è stato approvato il regolamento interno dell’Agenzia. Insomma, sebbene il cammino è ancora in salita, la direzione è quella giusta.

È tanto più importante che l’Africa è confrontata a sfide immense. Negli incontri bilaterali che Renzi avrà ad Abuja, Accra e Dakar, si parlerà sicuramente di lotta contro il terrorismo islamico – un flagello che colpisce un numero sempre più crescente di paesi africani –, di migrazioni e povertà. Ma al pari del Presidente del Consiglio, i leader africani sono convinti che gli investimenti, a cui si associano gli aiuti allo sviluppo, sono i deterrenti più efficaci per lottare contro la miseria e le disuglianze sociali, cioè la fonte di tutte le emergenze che minano la crescita economica del continente.

Articolo pubblicato nell'ambito di un progetto editoriale che associa Vita a 25 media africani indipendenti.


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