Politica & Istituzioni

Raggiungeremo solo 3 poveri su 10 fino al 2020

Cristiano Gori, coordinatore dell'Alleanza contro la povertà, spiega perché il ddl di delega sulla povertà interrompe il percorso innovativo e promettente avviato con la legge di Stabilità. E fa appello al Governo: «riapriamo il confronto, per migliorare la delega»

di Sara De Carli

Tre giorni dopo la presentazione del ddl di delega sulla lotta alla povertà, l’Alleanza contro la povertà ha diramato una nota per chiedere «una profonda revisione della delega». Cristiano Gori, docente di politica sociale all'Università Cattolica e coordinatore scientifico dell’Alleanza, spiega le criticità.

Quindi l’Alleanza boccia il Piano contro la povertà?
L’Alleanza esprime la preoccupazione che si interrompa il percorso verso l’introduzione di una misura come il Reddito d’Inclusione Sociale (Reis), da noi proposta, rivolta a chiunque si trovi in povertà assoluta e capace di accompagnare il sostegno economico con efficaci azioni d’inserimento sociale e lavorativo. Con la recente legge di stabilità il Governo Renzi ha compiuto importanti passi in avanti, varando il più significativo intervento mai realizzato in Italia nella lotta alla povertà. D’altra parte, però, il storico ritardo del nostro paese in materia è tale che per arrivare al Reis il cammino da compiere sia ancora lungo. La nostra speranza era che con la delega si proseguisse in questa direzione. Purtroppo, invece, nel testo attuale così non è.

Avete segnalato tre criticità, ma mi pare che il problema centrale secondo voi è che non ci sono abbastanza soldi per finanziare la graduale estensione della platea dei beneficiari e che la graduale estensione della platea dei beneficiari si regge solo sulle risorse che deriveranno dal riordino assistenziale e previdenziale…
Manca un percorso che, attraverso una estensione graduale dei finanziamenti, permetta di passare progressivamente dalle risorse oggi rese stabilmente disponibili – 1,5 miliardi annui – a quelle necessarie al Reis, 7 miliardi annui. La delega, infatti, esclude ulteriori stanziamenti per la lotta alla povertà, tranne quelli provenienti dal riordino complessivo delle prestazioni assistenziali. Poiché è stata compiuta la scelta – certamente opportuna – di applicare il riordino delle prestazioni assistenziali solo alle nuove domande senza toccare le provvidenze in essere, al fine di ottenere risparmi significativi si dovranno comunque aspettare diversi anni. Il nocciolo della questione è che la delega esclude qualsiasi ipotesi di finanziamento che renda possibile (e neppure avvicinabile) prima del prossimo decennio il reperimento dei 7 miliardi necessari al Reis. Noi invece chiediamo un Piano in quattro annualità, dal 2016 al 2019, che incrementi via via le risorse sino a disporre, alla sua conclusione, di questa cifra, così da raggiungere tutti i 4,1 milioni di persone in povertà assoluta.

Il Governo infatti ha annunciato che raggiungerà soltanto 1,2 milioni di poveri.
Le dichiarazioni governative indicano l’intenzione di erogare contributi monetari di importo piuttosto bassi in modo da allargare il più possibile l’utenza raggiungibile con le risorse rese disponibili. Per questo con 1,5 miliardi annui si arriva a 1,2 milioni di poveri. Poiché la delega impedisce passi in avanti, se il suo testo non sarà modificato, nei prossimi anni ci si stabilizzerà su una misura che raggiunge circa 3 poveri su 10 (1,2 milioni rispetto a 4,1). Rischiamo, come visto tante volte in passato, una riforma lasciata a metà: il Governo ha fatto in precedenza cose importanti per la lotta alla povertà ma con questa delega sembra che il futuro si fermi qua.

È legittimo a questo punto parlare – come fa il Governo – di Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP)?
Certo, avendo chiaro che si tratta di livelli essenziali rivolti esclusivamente al 30% dei poveri. Inoltre, i LEP riguardano solo le prestazioni monetarie, non i servizi, giacché per i servizi sono previsti esclusivamente finanziamenti europei di natura temporanea (lo stanziamento strutturale di 1,5 miliardi è interamente per i contributi economici), che si esauriranno all’inizio del prossimo decennio. Evidentemente non è possibile introdurre il diritto a ricevere servizi, attraverso i LEP, se questi non sono dotati di finanziamenti stabili.

A costruire i percorsi d’inclusione sociale sono chiamati i soggetti del welfare locale, a partire dai Comuni. Perché voi dite che l’obiettivo dell’inclusione sociale è a rischio?
Perché si richiede alla realtà del welfare locale di costruire interventi di inclusione sociale per i propri cittadini senza dotarle degli strumenti necessari allo scopo, come ha chiarito bene l’intervista a Vita.it di Tiziano Vecchiato. Oltre ad essere temporanei, i fondi europei saranno di circa 150 milioni all’anno: una cifra insufficiente. Inoltre, non si prevedono modalità per sostenere gli operatori impegnati nei territori, quali iniziative di accompagnamento e formazione, e neppure un sistema solido di monitoraggio utile ad imparare all’esperienza.

Il Ministro Poletti però in conferenza stampa ha fatto esplicito riferimento al vostro studio, dicendo che vi si sono “ispirati": non è così?
Nei mesi scorsi abbiamo avuto un confronto proficuo con il Governo. La nostra richiesta è ora di riaprire il confronto, anche coinvolgendo il Parlamento, per migliorare sostanzialmente la delega.

foto Dan Kitwood/Getty Images


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA