Cooperazione & Relazioni internazionali

Il caso Regeni non ci ha insegnato niente

Un'idea insidiosa si fa largo nell'informazione: sarebbero rifugiati solo "coloro che provengono da zone di guerra". Falso. Bisogna andare al cuore dei problemi o i problemi saranno destinati a crescere e tutti ne pagheremo il conto. A partire da chi "produce" informazione.

di Marco Ehlardo

A Salerno arriva la nave norvegese “Siem Pilot” con 545 migranti a bordo. Il giornalista di un canale televisivo all-news nazionale, in collegamento dal porto di Salerno, snocciola numeri (quanti uomini e donne, quante donne incinte, quanti minori non accompagnati) e provenienze (siriani, eritrei, somali, etiopi). Ma la notizia che dà con più enfasi è che pare ci siano anche egiziani. Possibile, anzi più che probabile.

Presente alle operazioni di sbarco il Prefetto di Salerno che, intervistato dal giornalista, sentenzia: se ci fossero egiziani, che quindi non hanno diritto all’asilo, saranno subito rimpatriati. Ho sottolineato quel “quindi” perché, inserito in quel modo in quella frase, è di una gravità enorme. Per vari motivi. Innanzitutto perché non è vero che un egiziano non abbia diritto a chiedere asilo. Potrebbe essere vittima di persecuzioni, ed il caso Regeni dovrebbe averci fatto aprire gli occhi, finalmente, su quello che può accadere alle persone in Egitto, specie se dissidenti dell’attuale regime. Andrebbe informato il potenziale richiedente asilo del suo diritto a chiedere protezione, ed eventualmente decidesse di chiederla la domanda andrebbe raccolta senza alcun ostacolo.

Esistono effettivamente casi in cui la domanda di protezione può essere rigettata per “manifesta infondatezza”. Ma lo stesso Ministero dell’Interno, con circolare n. 3718 del 30 luglio 2015, chiarisce che “il rigetto per manifesta infondatezza può essere adottato solo dopo una completa intervista personale del richiedente asilo”, dunque non certo in base alla semplice verifica della sua nazionalità (ammesso e non concesso che la nazionalità sia un criterio di inammissibilità della domanda). Inoltre va chiarito che l’organismo deputato dalla legge, in via esclusiva, a decidere se la domanda di protezione vada accolta o meno (e anche se sia manifestamente infondata o meno, come chiarisce la circolare di cui sopra) è la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale, tra l’altro presente anche a Salerno. E chi presiede queste Commissioni? Proprio le Prefetture! Che dunque dovrebbero ben conoscere la procedura, e dovrebbero semmai sottolinearla ed invocarne il rispetto. Che sia proprio il Prefetto, invece, a farne carta straccia è grave ed è un paradosso tutto italiano.

Infine, queste posizioni sono l’ennesimo effetto di una campagna di associazione diretta tra i rifugiati e la condizione di guerra presente nei loro Paesi, che i media ed alcune istituzioni stanno portando avanti da tempo. Sei rifugiato se provieni da una zona di guerra, altrimenti no. Falso.

In vari articoli qui su Vita si è provato più volte a segnalarne l’erroneità e la gravità, come provano a fare da tempo numerosi addetti ai lavori ben più importanti di me, ma a quanto pare senza esito. E, nello specifico caso di quanto sta accadendo a Salerno, le responsabilità sono duplici: del Prefetto (che per il suo ruolo dovrebbe conoscere la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, altrimenti se la legga presto) e del giornalista, che non accenna minimamente a contestare la dichiarazione del Prefetto, perché probabilmente anche lui all’oscuro della procedura (e a quel punto le responsabilità si estendono a chi lo ha mandato a fare il servizio).

Sono situazioni, questa di Salerno come altre che immagino analoghe in altre zone di sbarco, che vanno monitorate urgentemente e costantemente. Mi auguro un intervento dell’UNHCR; spero che qualche avvocato sia lì o vi si rechi per tutelare gli eventuali richiedenti asilo egiziani; auspico un chiarimento da parte del Ministero dell’Interno. E che l’Ordine dei Giornalisti si dia una sveglia e richieda con forza un’informazione più corretta in questi casi e, se possibile, faccia più formazione ai suoi iscritti su questo tema.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA