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Un’Agenzia pubblica per le adozioni? Ecco perché sì

Anna Maria Colella è la direttrice di Arai-Regione Piemonte, l'unico ente pubblico nel campo delle adozioni internazionali. È a questa esperienza che fa esplicito riferimento la recente proposta di legge che vorrebbe istituire anche in Italia un'Agenzia Nazionale per le Adozioni Internazionali. Ci ha scritto per dare il suo contributo al dibattito

di Anna Maria Colella

È necessario mantenere alta la cultura di accoglienza nel nostro Paese, in un sistema adozioni pubblico-privato razionalizzato e riorganizzato secondo le esigenze attuali dei bambini, delle coppie, dello scenario nazionale e internazionale. Credo che le deputate Rossomando, Quartapelle e Zampa, con tutti i colleghi che hanno sottoscritto la proposta di legge n. 3635 presentata alla Camera dei Deputati, abbiano ben interpretato l’esigenza di tante coppie italiane di potersi avvalere anche di un servizio pubblico, come normalmente già succede in Spagna, in Francia, in Germania.

Ritengo, condividendo quanto anticipato su questo tema dalle deputate, che la proposta di istituire un servizio nazionale per le adozioni internazionali vada collocata nell’ambito di un più ampio dibattito avviato in Parlamento sulla riforma della legge delle adozioni e che quindi vada sviluppato un confronto costruttivo sulle strategie di rete che possono essere messe in campo per contrastare la crescente sfiducia da parte delle famiglie verso l’accoglienza adottiva, in particolare quella internazionale, che nasce sia dalla rappresentazione sociale data dell’adozione (tempi lunghi di attesa, costi elevati…) sia dal significativo cambiamento rispetto ai profili dei bambini che possono essere accolti in adozione (ovvero bambini grandicelli, gruppi numerosi di fratelli, bambini che presentano delle situazioni sanitarie particolari).

Non posso dire adesso quanto risparmieranno le coppie italiane con questa Agenzia: al momento posso solo portare l’esempio del nostro lavoro nelle regioni, dove le coppie Arai, così come stabilito dalla Regione Piemonte, partecipano alla spesa in base al reddito Isee per quanto riguarda i servizi resi in Italia in Italia e coprono tutte le spese dei servizi resi all’estero. L’AFA, Agenzia nazionale francese, invece non richiede contributi alle coppie per i servizi resi. In ogni caso il servizio pubblico italiano per le adozioni non deve essere un carrozzone, ma una struttura molto contratta con personale altamente qualificato e competente, che dia risposte concrete alle famiglie, ai bambini, ai Paesi stranieri.

Il problema attuale, in base alla mia esperienza, è la necessità di una riorganizzazione del sistema Italia, a partire dalla Cai fino alla presenza di 62 Enti Autorizzati. Tale numero, decisamente elevato, ha comportato negli anni importanti conseguenze: tra queste, in particolare, la presenza di troppi enti nello stesso Paese straniero crea situazioni di “concorrenza” e aumento dei costi per gli enti autorizzati presenti, che non giova né alla parte straniera né a quella italiana. A titolo di esempio, in Colombia l’Italia è rappresentata da 20 enti autorizzati, un dato incredibile: gli enti degli altri Paesi al massimo sono due-tre in ciascun Paese.

L’adozione internazionale deve essere percepita come un fatto pubblico e collettivo. Il Permanent Bureau della Conferenza de L’Aja ha sottolineato la virtuosità e l’importanza di affiancare agli enti di natura privata anche un ente di natura pubblica, a garanzia delle procedure adottive. In questo senso si possono citare l’esperienza francese (con l’Agence Francaise de l’Adoption), quella spagnola (che consente alle regioni di regolamentare le attività di adozione internazionale) e quella italiana, che ha creato in Regione Piemonte l’Agenzia Regionale per le Adozioni Internazionali, poi convenzionata con le Regioni Liguria, Valle d’Aosta, Lazio e Calabria. Come evidenziato da una ricerca condotta dall’Università Bocconi nel 2011, inoltre, la situazione italiana vede, rispetto agli altri Paesi, un numero superiore di enti e la mancanza di un organismo pubblico operante sull’intero territorio nazionale.

L’ente pubblico ha conquistato negli anni, a livello nazionale ed internazionale, apprezzamento e interesse verso il suo operato. La presenza dell’Arai nel sistema italiano ha permesso di realizzare un equo bilanciamento di soggetti attivi consentendo ad operatori pubblici di affiancarsi, senza prevaricazioni e supremazie, ad operatori privati in un’ottica che consenta agli aspiranti genitori un più ampio ventaglio di scelta. Come precisato dall’onorevole Anna Rossomando, i tempi sembrano maturi per una riorganizzazione dell’ente pubblico al fine di assicurare a tutte le coppie italiane la possibilità di avvalersi di un servizio pubblico per lo svolgimento di una pratica adottiva all’estero.

Nel contempo vanno riorganizzati dallo Stato anche gli enti privati, attraverso diverse azioni: tra queste sicuramente che, anche attraverso il sistema di consorzi tra enti, si riduca il numero degli enti autorizzati italiani soprattutto nei Paesi stranieri. Auspico quindi che si apra un dibattito costruttivo tra istituzioni e rappresentanti del privato sociale sull’attuale scenario delle adozioni internazionali, al fine di razionalizzare il sistema anche attraverso l’istituzione di un’Agenzia nazionale per le adozioni internazionali, che operi con la collaborazione delle Regioni, che da un lato realizzi adozioni nei Paesi stranieri, e che contemporaneamente possa porsi come interlocutore nazionale con le varie istituzioni che intervengono nell’iter adottivo. In un’ottica di contenimento della spesa pubblica ciò comporterebbe il superamento dell’art. 39 bis, comma 2, della legge n.184/1983 s.m.i., che consente alle Regioni e alle Province autonome di poter istituire un servizio pubblico per le adozioni internazionali, e permetterebbe di creare anche in Italia un sistema uniforme sull’intero territorio nazionale, al pari di quanto già previsto da altri Paesi d’accoglienza europei.

Foto Getty Images


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