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Cooperazione & Relazioni internazionali

Cecile Kyenge: “L’Africa, un’opportunità per l’Italia e l’Europa”

“L’Africa rappresenta un’opportunità storica per l’Italia e l’Europa”. Ne è convinta l’eurodeputata del Gruppo dei socialisti e democratici europei, Cecile Kyenge che, alla vigilia della Conferenza ministeriale Italia-Africa organizzata dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in collaborazione con l’ISPI, indica in questa intervista rilasciata a Vita.it le sfide che attendono l’Italia e l’UE nei suoi rapporti con il continente africano. Con un consiglio: scommettere sulla gioventù africana.

di Joshua Massarenti

On. Kyenge, quali sono le sue attese rispetto alla Conferenza Italia-Africa?

Grandi quanto le ambizioni di Roma rispetto al continente africano. Mai l’Italia aveva organizzato una conferenza di questo livello. Mi sembra che sia un’ulteriore conferma che le cose stanno davvero cambiando. Questa conferenza può segnare un netto miglioramento dei rapporti fra l’Italia e l’Africa. La presenza di un numero molto elevato di ministri degli Affari Esteri dei paesi africani e di personalità politiche del calibro di Dlamini Zuma, presidente della Commissione dell’Unione Africana testimoniano la reazione positiva dei paesi africani rispetto all’attenzione che l’Italia sta maturando nei confronti del continente africano.

Appunto, come giudica l’agenda portata avanti dal governo italiano in Africa in questi ultimi anni ?

Ci sono ottime intuizioni e novità nell’agenda africana del governo italiano. Ma c’è qualcosa che sicuramente non era iscritta nell’agenda africana del governo italiano e che sta già avendo ricadute di cui non cogliamo ancora la portata, ma che sul medio-lungo termine avrà un impatto molto forte sulle relazioni tra l’Italia e l’Africa: sono le vite africane che il nostro paese ha salvato nel Mar Mediterraneo. Non conto più le volte in cui, durante le missioni che ho compiuto in Africa in questi ultimi mesi per conto del Gruppo dei Socialisti e democratici europei e dell’Assemblea ACP-UE, gli africani che ho incontrato hanno ringraziato l’Italia per l’operazione Mare Nostrum e per tutto l’aiuto fornito ai profughi africani. In Africa ci sono milioni di persone che accedono alla BBC, CNN, Al Jazeera o France24, vedono le immagini terribili degli sbarchi e dei naufragi nel Mediterraneo, e vedono bene la differenza tra chi alza i muri e respinge i migranti, e chi prova a salvarli e ad accoglierli.

Lo sforzo che compie l’Italia è molto apprezzato. Poi, le visite compiute dal Premier Renzi e quelle più recenti del Presidente Mattarella hanno rafforzato l’immagine di un’Italia pronta a fare la propria parte nel continente africano. C’è chi sostiene che si tratta di un interesse legato alla necessità di ottenere l’appoggio degli africani per conquistare un seggio non permanente al Consiglio di sicurezza. Se così fosse avremmo usato la stessa strategia ogniqualvolta si è presentata un’occasione simile, ma la realtà è un pò diversa. Da Palazzo Chigi alla Farnesina, abbiamo finalmente capito che l’Africa è un partner strategico non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa, non solo per governare i flussi migratori, ma anche per rilanciare la lotta contro la povertà in Africa e promuovere gli investimenti, nel rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. Questo è l’approccio che penso contraddistingua il governo attuale attraverso le azioni portate avanti da Renzi, Mattarella, Gentiloni e il vice ministro Mario Giro.

Non conto più le volte in cui, durante le missioni che ho compiuto in Africa in questi ultimi mesi per conto del Gruppo dei Socialisti e democratici europei e dell’Assemblea ACP-UE, gli africani che ho incontrato e che hanno ringraziato l’Italia per l’operazione Mare Nostrum.

Alla luce dei suoi impegni nel Parlamento europeo sull’Africa, quali sono le grandi sfide a cui il nostro paese dovrebbe rispondere in questo continente?

Le migrazioni sono sicuramente una delle più grandi sfide che accomunano l’Africa e l’Europa. E chi dice profughi o migranti africani dice giovani. Da qui al 2050, l’Africa registrerà una forte crescita demografica, il 40% delle nascite si registreranno in Africa e circa il 40% dei bambini nel mondo vivranno sul continente africano. Se non saremo in grado di ridurre la povertà e le disuguaglianze sociali, e creare nuovi posti di lavoro, i flussi migratori di giovani africani non solo non si fermeranno, ma tenderanno ad aumentare progressivamente, nella stragrande maggioranza dei casi verso l'interno dell’Africa, il che provocherà nuovi squilibri, ma anche verso l’Europa. C’è tanto da fare, se si vuole invertire questa tendenza. Nonostante i forti tassi di crescita economica registrati dai paesi africani nell’ultimo decennio, il continente ha visto le disparità sociali accrescersi. Con il rischio che i giovani vadano anche ad abbracciare gruppi terroristici come Boko Haram o Al Shabaab.

Perché è così strategico puntare sulla gioventù africana?

Intanto per i dati che ho appena menzionato. Oggi i giovani africani sono il patrimonio più grande del continente più giovane, rappresentano la parte politicamente più effervescente del mondo. L’Africa oggi necessita di nuove leadership politiche autenticamente democratiche, capaci di rispondere alle aspirazioni di milioni di ragazzi e ragazze africani. Le rivolte giovanili che si stanno diffondendo dal Sudafrica al Ciad, passando per il Burkina Faso e il Senegal, non sono casuali. Testimoniano che i giovani africani hanno capito che non “da fuori” ma dalla buona politica inizierà il futuro che sognano.

La settimana dell’Africa che il mio Gruppo parlamentare dei Socialisti e Democratici europei ha organizzato lo scorso mese a Bruxelles è stata un’occasione straordinaria per accogliere alcuni fra i nuovi leader più influenti del continente africano di domani ma che già oggi stanno provando a cambiare la storia del loro paese. Personalità come Serge Bambara del movimento Burkina Balai citoyen oppure Floribert Anzuluni del movimento congolese Filimbi incarnano le aspirazioni di milioni di giovani africani, stanchi di vedere vecchi leader corrotti violare la loro Costituzione per rimanere al potere, tradendo quotidianamente le loro speranze. Il Burkina Faso, paese dove ho avuto il privilegio di seguire da vicino le prime elezioni democratiche della sua storia, è la dimostrazione che i regimi autoritari non hanno più pace in Africa. Ad una gioventù iperconnessa e assetata di conoscenze e di lavoro, i nuovi leader africani devono offrire modelli di sviluppo trasparenti e ambiziosi, fondati sulla good governance, sulla difesa dei diritti umani, e su battaglie come la lotta contro l’evasione fiscale. Altrimenti l’Africa rimarrà un continente la cui crescita sarà limitata dalle tensioni politiche, i conflitti armati e traffici di ogni genere. Tutte le risoluzioni che ho portato avanti in prima persona o sostenuto al Parlamento europeo vanno in questa direzione.

Come sistema paese, l’Italia è all’altezza di queste sfide?

E’ un percorso ancora lungo. Credo che l’attuazione della riforma della cooperazione italiana sarà un test importante per capire quanto il nostro paese è pronto a muoversi compatto e in modo coerente sul continente africano. Il rischio più grande è la confusione dei ruoli. Ognuno deve fare il proprio compito, così com’è previsto dalla legge 125. Mi auguro che l’Agenzia possa presto diventare pienamente operativa, così come la Cassa depositi e prestiti, il cui coinvolgimento nella cooperazione italiana andrebbe seguito con grande attenzione. Nel contesto attuale, penso che le diaspore africane hanno un ruolo importante da giocare, così come tutti gli altri attori della società civile, ma vanno rafforzate affinché il loro impatto possa diventare davvero significativo. Certo la cooperazione italiana non dispone degli stessi fondi della cooperazione inglese o quella francese in termini di volume, il che significa che ci giochiamo la faccia sull’efficienza.

L’Italia ha molto da dare all’Africa, ma il percorso è ancora lungo. Credo che l’attuazione della riforma della cooperazione italiana sarà un test importante per capire quanto il nostro paese è pronto a muoversi compatto e in modo coerente sul continente africano.

Quali sono invece le opportunità che il continente africano offre all’Italia e all’Europa?

Sono tantissime. Pensiamo all’energia e alle infrastrutture, dove i bisogni rimangono enormi e le opportunità di lavoro immense, sia per gli africani, che per gli italiani e agli europei. Non a caso in molte capitali dell’UE, tra cui Roma, si guarda ormai all’Africa come una nuova frontiera energetica. Oggi 600 milioni di africani non hanno accesso all’elettricità, l’equivalente di una persona su due a livello mondiale. L’assenza di rete elettrica spinge centinaia di migliaia di giovani africani verso la città, generando un processo di urbanizzazione caotico, con megalopoli difficilmente gestibili come Lagos. Nei casi più estremi, questi giovani partono per l’Europa, con tutti i rischi che comporta l’odissea migratoria. Portare la luce nei villaggi potrebbe frenare l’esodo rurale, così come costruire nuove strade, ponti, reti ferroviarie che colleghino le campagne alle città, consentendo nel contempo ai paesi africani di esportare i propri beni a livelli regionale, continentale e intercontinentale. Da cui al 2030, circa 29 milioni di africani entreranno nel mercato del lavoro.

Come soddisfare una tale richiesta?

Creando opportunità nel mondo rurale, il che passa per un’industrializzazione sostenibile del settore agricolo. Un’altra pista da vagliare è quella dello sfruttamento delle risorse naturali e minerarie, ma non a qualsiasi costo. E’ il senso della battaglia che il nostro Gruppo sta portando avanti nelle istituzioni europee contro i minerali di sangue. Oggi non è più pensabile andare in Africa e fare business come venti o trent’anni fa. Le imprese, in particolar modo le multinazionali, hanno il dovere di rispettare i diritti umani e ambientali. Purtroppo in molte zone del mondo, come nell’Est della Repubblica democratica del Congo, i minerali sono sfruttati in modo illegale da gruppi armati che cacciano le persone dalle proprie terre, trascinano bambini innocenti in conflitti armati e mettere a repentaglio lo sviluppo nel suo insieme. Dall’altra parte della catena, ci sono le imprese dei paesi sviluppati ed emergenti che importano minerali macchiati di sangue per produrre pc, tablet e telefonini. Il gruppo S&D vuole imporre normative UE vincolanti per le aziende europee coinvolte nell’estrazione dei minerali provenienti da zone di guerra.

Purtroppo in Europa continua a prevalere l’immagine di un continente africano minato dal terrorismo, dalla corruzione e dalla povertà. Quando invece c’è un dinamismo che gli europei fanno fatica a immaginarsi.

Sapremo cogliere queste opportunità nel rispetto delle norme internazionali?

Si, se l'Europa saprà leggere meglio la realtà dell'Africa e reimpostare coerentemente una partnership paritaria. Purtroppo in Europa continua a prevalere l’immagine di un continente africano minato dal terrorismo, dalla corruzione e dalla povertà. Quando invece c’è un dinamismo che gli europei fanno fatica a immaginarsi. Prendiamo la Nigeria, che dallo scorso anno è diventata la prima potenza economica del continente. Nella nostra percezione, questo paese si riassume a due cose: Boko Haram e il petrolio. Ma pochi sanno che il principale motore della crescita economia nigeriana sono i servizi, in particolar modo il commercio, l’immobiliare e il settore dell’informazione e della comunicazione, che rappresentano quasi il 60% della ricchezza nazionale, seguiti dalle attività manifatturiere e dall’agricoltura. L’assenza di informazione riguardo le realtà africane è un vero problema che limita la nostra capacità a cogliere le opportunità che questo continente ci offre.

Ma esiste anche il fenomeno opposto, e cioè l’immagine che l’Europa sta veicolando di se stessa in Africa. Di fronte alla nostra incapacità a gestire in modo solidale qualche centinaia di migliaia di profughi, gli africani che ne devono accogliere milioni nei loro paesi si interrogano sulle capacità e la volontà dell’UE di rimanere un faro per l’umanità.

Il Migrazione compact presentato da Renzi alcune settimane fa consente di superare queste contraddizioni?

Sono convinta che vada nella direzione giusta. Il potenziamento dell'azione esterna dell'Unione Europea, cuore della proposta Migration compact, è anche uno dei pilastri del mio Rapporto per una nuova politica comune europea dell'immigrazione e dell'asilo, approvato dall'Europarlamento ad aprile. Con questo piano il governo italiano incalza l’Unione Europea a dotarsi di una visione politica delle sfide migratorie che non può prescindere dal rapporto con l'Africa. La prima Conferenza Italia-Africa, voluta dal governo e in programma a Roma domani, sarà un’occasione molto importante per discutere di questo con i partner africani, di un rapporto nuovo con l'Africa e delle politiche di investimento che l'Italia sta lanciando in Africa


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