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Il TTIP? Un trattato che non si farà, è ufficiale

Dopo tre anni di negoziazioni, la Francia si sfila dall'accordo Usa-Europa per commercio e investimenti e anche l'Italia ammette l'impossibilità di raggiungerlo in tempi brevi: con Brexit è saltato l'interlocutore più interessato all'intesa, la Gran Bretagna. Per Obama una sconfitta, "per i movimenti della società civile una vittoria: sono stati loro ad avere alzato il velo su un trattato che i Governi discutevano di nascosto", spiega l'esperto Alfredo Somoza

di Daniele Biella

Dopo tre anni e 14 round di negoziazioni Usa-Europa, il verdetto: il Ttip – Transatlantic Trade and Investment Partnership, Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti – non si farà, né ora né chissà quando. La fresca notizia dell’uscita ufficiale della Francia dalla mediazione (“Non c’è alcuna possibilità che si chiuda la partita prima della fine dell’amministrazione Obama, data l’inconciliabilità delle posizioni delle parti”, ha detto il ministro francese al Commercio estero Matthias Fekl), seguito a ruota dall’esternazione dell’omologo italiano Carlo Calenda (“Manca la fiducia: salterà non solo la collaborazione con gli Stati Uniti ma anche quella già avviata con il Canada, il Cepe”) e soprattutto allo scossone che la Ue ha avuto con la Brexit, ha dato il probabile colpo di grazia.

“In pochi anni è cambiato l’umore complessivo delle popolazioni mondiali: lo slancio verso la globalizzazione ha subito una brusca frenata e ora si sta tornando verso il protezionismo e le chiusure nazionali”, analizza Alfredo Somoza, presidente dell’ong Icei, esperto di politiche internazionali. “Dopo anni, ora i populismi hanno aperto gli occhi, di fatto convergendo sulle stesse posizioni dei movimenti della società civile avversi al Ttip. Quegli stessi movimenti che, una volta tanto, sono stati fondamentali nell’arginare un Trattato che era rimasto colpevolmente nascosto dai Governi”, continua Somoza: “è grazie alle mobilitazioni, alla petizione firmata da 3,5 milioni di cittadini europei, che il Ttip è diventando di dominio pubblico facendo così trovare spazio a chi lo giudica un errore”. Francia e Germania in primis, con l’Italia su posizioni contrastanti – anche se la posizione del ministro Calenda era apertamente pro Trattato – e la Gran Bretagna che ha giocato la partita fino alla Brexit: “era la nazione che mediava tra Usa e altri Paesi europei, ora con la sua rottura con la Ue, di fatto ha contribuito a fare saltare il banco”.

Se la Gran Bretagna volesse andare avanti da sola, “può farlo e ciò non è escluso, anche se a Barack Obama interessa palesemente di più fare l’accordo con tutta l’Unione europea, non solo con i britannici”; sottolinea Somoza, che ha origini argentine e vive da decenni in Italia, dove oltre all’impegno nella cooperazione affianca il giornalismo e la scrittura (è autore del saggio Oltre la crisi. Appunti sugli scenari economici). Ma gli Stati-traino dell’Unione europea hanno fatto capire fin dall’inizio la contrarietà allo spalancare le porte alle politiche commerciali statunitensi senza garanzie in cambio: “la negoziazione andava avanti a rilento proprio per le differenze di approccio, con gli Stati uniti poco disposti a mediare e gli europei non disposti ad accettare diktat. Ora i tempi sono cambiati, e la fine dell’amministrazione Obama riporterà il Ttip in soffitta: Se vincesse Trump, la morte delTrattato sarebbe certa, in caso di elezione di Hillary Clinton ci sarebbe una flebile possibilità di riapertura delle negoziazioni, ma con molta cautela”, riporta Somoza. L’impressione è che il vento è girato e che se ne riparlerà, forse tra un bel po’ di anni. “Questi tentativi di trattati non si chiudono mai, ma possono rimanere moribondi per un periodo anche molto lungo”.


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