Cooperazione & Relazioni internazionali

La domanda dei parenti delle vittime: come si supera un dramma come questo?

Simona Ius è la coordinatrice degli psicologi per l'emergenza di Anpas. In questo momento si trova all'ingresso dell'obitorio di Amatrice: «Una volta che si “aprono” l’importante è esserci, essere presenti. Cercando di non dare risposte che normalmente possono venir considerate consolatorie». Ecco la sua testimonianza

di Redazione

Simona Ius, 43 anni, romana e madre di due bambini è la responsabile di psicologia dell’emergenze di Anpas nazionale. Coordina un gruppo di venti colleghi che si alterneranno nei prossimi giorni sui luoghi del terremoto. È arrivata ad Amatrice intorno alle nove di ieri sera. Stanotte ha dormito appena tre ore. Ecco la sua testimonianza, raccolta pochi minuti fa. Ha una voce stanca e rotta dell’emozione.

Dove si trova in questo momento?
All’ingresso dell’obitorio che i volontari hanno allestito dove avviene il riconoscimento delle salme. Insieme a noi psicologici ci sono anche i funzionari e la polizia scientifica. C’è anche una tenda con scritto “Minori”. È dura, molto dura.

Qual è il vostro compito?
In queste prime ore quello di assistere i parenti in questa trafila che può durare anche molto tempo. Vengono chiamati uno alla volta. Molti devono riconoscere più di una salma. Stamattina ho assistito a un incontro fra due ragazze del posto che si conoscevano. Una ha detto: «io ho perso i miei genitori«. «Io invece sono rimasta da sola, sono morti tutti», gli ha risposto l’amica. Non è una cosa normale. Generalmente quando muore un persona cara, rimangono i parenti. Qui sono sparite intere famiglie. Ci sono sopravvissuti che sono rimasti davvero soli.

Come li approcciate qui nella camera ardente?
Chiediamo loro se hanno bisogno di qualcosa. Qualcosa di concreto intendo: un bicchier d’acqua, una sedia. Altre volte vedendo il nostro cartellino sono loro che ci chiedono informazioni pratiche: quanto c’è da aspettare, dove lasciare i nominativi. Una volta che si “aprono” l’importante è esserci, essere presenti. Cercando di non dare risposte che normalmente possono venir considerate consolatorie.

Qual è la domanda più ricorrente?
Come si passa un momento così. Questo ce lo chiedono in molti.

Una mia collega stamattina mi ha visto in difficoltà e mi ha portato fuori per fare due passi. Io non me ne ero resa conto, ma stavo per crollare. Poi ci sono i volontari. Di cui ci dovremo occupare subito dopo la primissima emergenza. Non è facile nemmeno per loro

C’è una risposta?
Non possiamo barare, dobbiamo essere chiari: è un percorso lungo, non semplice, doloroso. Poi proviamo a evidenziare le possibili risorse da mettere in campo: gli amici, i familiari rimasti, la voglia e il bisogno di vivere che comunque hanno dentro e infine, se è il caso, evochiamo anche percorsi di terapia di breve e/o di lungo periodo. Devono capire che non sono soli.

Piangono?
Sì, molti. E sono pianti anche lunghi e, devo essere sincera, difficili da accompagnare e sopportare. Qui entra in gioco tutta la nostra professionalità. Ripeto: non è facile nemmeno per noi.

In queste ore quante persone ha assistito finora?
Non saprei quantificarle, non ho tenuto il contro.

Ha incontrato qualche genitore che ha perso un figlio?
Sì, molti. Molti.

Quanto dureranno i turni di voi psicologi?
In questi casi generalmente si sta sul campo una settimana, poi si rientra. Ma siamo veramente all’inizio, dobbiamo ancora organizzare i turni. Le giornata invece non hanno una durata fissa, dipende anche dalla pressione emotiva a cui siamo sottoposti. Una mia collega stamattina mi ha visto in difficoltà e mi ha portato fuori per fare due passi. Io non me ne ero resa conto, ma stavo per crollare. Poi ci sono i volontari.

In che senso?
Nel post emergenze la priorità sono i parenti delle vittime, ma nei prossimi giorni sempre di più ci dovremo concentrare anche sui nostri volontari, che sebbene siano preparati e formati hanno comunque bisogno di un supporto. Solo ieri una delle nostre squadre impegnate negli scavi a estratto 12 corpi privi di vita. Sa cosa mi hanno raccontato? “E pensare che eravamo venuti qui per salvare delle vite: è stata uno strazio, ci sarebbe stato bisogno di te anche per noi…”


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