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Più qualità nelle comunità per minori? Vero ministro Orlando, ma non siamo all’anno zero

Ieri il Ministero per la Giustizia ha emanato una direttiva che punta a rafforzare la trasparenza e la qualità nei collocamenti in comunità del privato sociale dei minorenni coinvolti nel circuito penale. «Bene la qualità e i controlli, infatti dei passi in questa direzione esistono», dicono gli esperti. Che però respingono l'accusa di «costi esorbitanti»

di Sara De Carli

Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha trasmesso ieri una direttiva al Capo del dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, Francesco Cascini, riguardante i rapporti tra la giustizia minorile e il privato sociale e comunità di accoglienza. La direttiva – che riguarda solo la parte del sistema comunità collegata al circuito penale – parte dalla premessa che «il privato sociale e il complesso delle cooperative sociali forniscono un rilevante contributo allo sviluppo ed alla crescita del sistema di accoglienza, sostegno e sviluppo dei percorsi di reinserimento dei minori» ed è poi tutto un fiorire di «attenta vigilanza», «massima trasparenza», «costante controllo», «verifica costante su procedure, prassi e costi», con richiami al «potere ispettivo esercitato dalle Procure». La direttiva infatti nasce, testualmente, dall’esigenza «urgente» di una «ricognizione dei metodi di selezione dei contraenti e di costante verifica della qualità dei servizi resi rispetto a costi, talvolta esorbitanti, che vengono sostenuti dal Ministero e dagli Enti territoriali».

Nessun timore dei controlli, replicano gli addetti ai lavori, che nella direttiva non vedono a dire il vero sostanziali novità. L’unica novità sembrerebbe l’avvio di un sistema informatico tramite cui il Dipartimento svolgerà un costante controllo sulle assegnazioni dei minori in Comunità in area penale, collocamenti in comunità che dovranno «essere effettuati dai Centri di Giustizia Minorile garantendo la massima trasparenza nella scelta della struttura» e scongiurando – pare essere l’implicito – quel rischio di “conflitto d’interesse” già più volte messo sotto accusa, legato al fatto che talvolta i giudici onorari minorili (di cui si dice verranno assunte informazioni presso i Presidenti dei Tribunali per i Minorenni circa gli esiti dell’attività di vigilanza sulle incompatibilità previste dal CSM) collaborino anche con diverse comunità per l’accoglienza.

Costi esorbitanti? I costi reali superano sempre le rette

«Costi talvolta esorbitanti? Non direi. Secondo la stima fatta a livello nazionale dai promotori della campagna #5buoneragioni, i costi di gestione di una comunità educativa di 8 ragazzi implica un costo giornaliero per ospite di 151 euro, di cui 118 afferibili alla sola voce “costi del personale”. Immaginando dei risparmi possibili, si può scendere fino a 121 euro al giorno, non di meno, pena la qualità del servizio. I costi sostenuti dalle comunità sono sempre superiori alle rette percepite, che anzi a volte nemmeno vengono pagate dai Comuni…», spiega Samantha Tedesco, responsabile Area Programmi e Advocacy di SOS Villaggi dei Bambini Onlus.

Gli standard gestionali e strutturali a cui le comunità devono attenersi sono definite da atti formali delle Regioni e le rette non coprono i costi dei servizi previsti: lo studio a cui fa riferimento Tedesco parla di rette che vanno dai 118 euro medi del Veneto e dell’Emilia Romagna ai 69,5 di Roma, con una media che si aggira sui 100 euro. A livello nazionale quindi, il costo annuo dei minori in comunità educative è complessivamente di circa 547 milioni di euro, mentre con una retta adeguata dovrebbe essere di 826 milioni di euro: significa che i Comuni stanno risparmiando circa 280 milioni di euro l’anno. «Verificare la qualità del servizio è corretto, spiace solo che l’assunto di partenza sembri sempre quello che questo servizio costi troppo: non è così, almeno non con gli standard che sono richiesti. Basta sedersi a qualsiasi tavolo di coordinamento per capirlo: le realtà più grandi e strutturate ci mettono del loro, molte piccole invece stanno chiudendo e sempre più spesso di sente di personale non pagato per via dei ritardi dei Comuni, piuttosto che di formazione e supervisione che saltano». Ragionamento simile per i giudici onorari: «non ci deve essere conflitto d’interesse, d’accordo, controlliamo le incompatibilità, ma questo non significhi mettere in discussione la figura dei giudici onorari minorili, che con la loro professionalità specifica assicurano che la giustizia minorile all’ascolto attento del bambino e del ragazzo».

Adolescenti tossicodipendenti, una presa in carico che vale 52 euro al giorno

«Io lo vedo come un invito affinché ognuno faccia la sua parte, in particolare le Procure, con ancora maggiore responsabilità», commenta Simone Feder, psicologo della Casa del Giovane di Pavia. Molte strutture infatti sono ancora soltanto in accreditamento, spetta ai Comuni e alle Asl – a seconda del tipo di comunità – fare controlli sull’effettiva realizzazione degli standard e contenuti nelle linee guida e sull’erogazione delle prestazioni.

Una riflessione sulle rette però, per lui ci vorrebbe, per due ragioni. La prima è che le comunità educative accolgono sempre più spesso minori stranieri non accompagnati – «ho visto report che parlano di 200 tentativi fatti per collocare un minore e andati buchi» – sia perché c’è un reale bisogno sia perché gli invii da parte dei Comuni sono sempre meno: forse allora l’offerta di servizi oggi prevista per le comunità educative (e relativi costi) potrebbe essere rivista, perché i minori stranieri non accompagnati potrebbero non aver bisogno di alcune cose e aver più bisogno di altre, in una ricomposizione del paniere che potrebbe comportare anche costi differenti. La seconda ragione è che i ragazzi che arrivano in comunità oggi sono talmente fragili e complessi, con certificazioni di dipendenze – «ho appena visto il caso di un ragazzino di 13 anni pieno di cocaina» – che le rette oggi riconosciute non bastano: «Alla Casa del Giovane di Pavia abbiamo trasformato da tempo una struttura sociosanitaria per tossicodipendenti in una struttura per adolescenti tossicodipendenti, che afferisce sempre al sociosanitario, per cui abbiamo una retta riconosciuta di 52 euro al giorno, molto meno di una qualsiasi comunità educativa».

Quel che si sta già facendo

Ma torniamo alla direttiva di Orlando e proviamo ad inquadrarla meglio. «I dati dicono che i ragazzini in comunità provenienti dall’area penale, nel 2015 erano 1.688: ci arrivano per messa alla prova, misure alternative o cautelari, perché fortunatamente si è ridotto il ricorso agli istituti penitenziari minorili», spiega Liviana Marelli, referente dell’area minori del CNCA. Ci arrivano su mandato degli organi della giustizia minorile, i Centri Giustizia Minorile e gli Uffici di Servizio Sociale per Minorenni e vanno anche nelle comunità del privato sociale «perché in tutta Italia le comunità gestite dal Ministero, per questi ragazzi, sono soltanto 12». Grossomodo esse accolgono 100-120 ragazzi: gli altri 1.500 circa vanno nelle comunità del privato sociale, cui la direttiva si riferisce.

«A questo punto ricadiamo nel ragionamento fatto infinite volte, cioè il fatto che le comunità in Italia sono diversissime fra loro, anche rispetto alla qualità. Esigere qualità nelle comunità è sfondare una porta aperta, però devo dire anche che non siamo all’anno zero», continua Marelli. Nel marzo 2015, in particolare, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è partito un tavolo tecnico, lungamente invocato, cui siedono rappresentanti dei ministeri (incluso il ministero della Giustizia) e degli enti gestori: «entro fine anno stenderà le linee di indirizzo per l’accoglienza dei minorenni nelle strutture residenziali, un documento che va nella linea di garantire una maggiore omogeneità e qualità a livello nazionale», spiega Marelli.

In alcun regioni, inoltre, i Centri Giustizia Minorile hanno predisposto un protocollo operativo che detta la cornice sulle caratteristiche e i vincoli e che le comunità che accolgono ragazzi del circuito penale devono rispettare «L’USSM di Milano ad esempio questo protocollo lo ha e lo va a verificare costantemente. Lo stesso CGM di Milamo aveva un tavolo di lavoro con le comunità», ricorda Marelli. Che anticipa anche come all’interno di questa stretta collaborazione con il dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, nell’ambito di alcuni coordinamento – quali ad esempio il CNCA e il Don Calabria – stiano anche per partire alcuni percorsi sperimentali che possano proprio implementare la qualità dell’accoglienza.


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