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Airbnb , come fermare chi discrimina

Il prossimo numero di Vita Bookazine (in edicola dal 4 novembre) sarà dediciato alla Sharing Economy. Per cominciare a parlarne proponiamo la rubrica della sociologa economica Ivana Pais dedciata porprio alle “idee sulla weconomy”

di Ivana Pais

La sharing economy sta ricevendo molte critiche, eppure c’è un aspetto che vede tutti favorevoli: la costruzione di legami sociali — anche deboli — necessari allo scambio di beni e servizi. A differenza dell’e-commerce, che consente di scegliere online e ricevere il proprio acquisto a casa senza nemmeno parlare con un venditore, le piattaforme sharing mettono le persone in contatto tra loro. Spesso si tratta di semplici interazioni occasionali, ma in una stagione di crescente individualismo e automazione anche queste contribuiscono alla qualità del nostro tessuto sociale.

Eppure, qualche effetto collaterale inizia a emergere. Le prime ricerche realizzate su Airbnb, il portale online che mette in contatto persone in cerca di una camera per brevi periodi con persone che dispongono di uno spazio extra da affittare, mostrano che proprio la libertà di scelta della persona con cui entrare in relazione sta favorendo pratiche discriminatorie.

E non si tratta del fatto che gli utenti tendono a preferire i loro simili. Se così fosse, i bianchi sceglierebbero di ospitare altri bianchi, gli afro-americani altri afro-americani ecc. Il risultato più sorprendente — e preoccupante — è che gli afro-americani preferiscono i bianchi. E questo nonostante i relativi costi: due volte su tre chi rifiuta un ospite non riesce poi a trovarne un altro.

Come risolvere questo problema? Le proposte in campo al momento sono tre.

Prima: applicare alle piattaforme sharing le stesse norme in vigore negli alberghi. La piattaforma però non eroga il servizio; mette in contatto persone a cui si può attribuire la responsabilità del comportamento.

Seconda: procedere a punizioni esemplari di singoli utenti, con la speranza che il passaparola possa funzionare da deterrente. Una via già sperimentata senza successo nel campo del download illegale di film e canzoni. Inoltre, proprio la caduta dei confini tra relazione professionale/commerciale e relazione personale implica una libertà di scelta che difficilmente può essere limitata.

Terza: c’è chi suggerisce nuove logiche di funzionamento delle piattaforme. La proposta che pare sia già in fase di sperimentazione da parte di Airbnb è l’eliminazione di foto e nome dal profilo degli utenti
fino al momento dell’accordo. Le uniche informazioni a disposizione sarebbero dunque le recensioni lasciate da altri utenti. Una soluzione che — se da un lato potrebbe ridurre le scelte guidate da stereotipi — dall’altro apre altri interrogativi: siamo sicuri che gli algoritmi reputazionali non riproducano logiche discriminatorie?

@ivanapais


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