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Renato Mannheimer: «I sondaggi non prevedono il futuro»

Con la fine delle identità di partito, sempre più elettori decidono chi o cosa votare a poche ore dalla chiusura dei seggi. Anche la sfida fra Hillary Clinton e Donald Trump, comunque vada, è stata segnata da questa incertezza e da una costante: lo scollamento tra vita e politica è sempre più grande. E non risparmia nessuno

di Marco Dotti

Chi vincerà? È questa la domanda che si sente ripetere. Legittima, cruciale, ma con una piccola avvertenza: non siamo a X Factor, ma nella dura, nuda realtà. Leggerla, non è impresa da poco. Renato Mannheimer lavora da più di quarant’anni nel campo dei sondaggi di opinione, dopo aver insegnato nelle Università di Genova e Milano. Il suo ultimo libro, Demoskoppiati (Jaca Book, Milano 2016), è più che mai d'attualità, essenco centrato sui recenti insuccessi della capacità previsionale dei sondaggi riferiti alle intenzioni di voto.

Professor Mannheimer, la Brexit non ci è bastata, anche su Trump, comunque, vada, abbiamo preso un abbaglio?
I sondaggi leggono ottimamente la realtà sociale italiana e straniera, e la leggono molto meglio di quanto non facciano alcuni osservatori, mentre gli stessi sondaggi entrano in difficoltà quando si tratta di leggere il futuro. In particolare, quando si tratta di prevedere il futuro elettorale.

Oggi gli americani stanno votando e, a breve, gli italiani voteranno per il referendum. Quindi non sapremo che cosa accadrà fino allo scrutinio ufficiale?
Lì si tratta di capire "prima" che cosa faranno le persone "dopo". Normalmente i sondaggi fotografano la realtà attuale: se chiedo ai cittadini che cosa pensano, oggi, di Renzi o di Trump i cittadini mi rispondono con grande sincerità e i dati sono molto interessanti. Viceversa se chiedo ai cittadini che cosa faranno la prossima settimana, quando voteranno, io chiedo loro un comportamento futuro. Questa analisi del comportamento futuro presenta delle difficoltà.

Perché i cittadini non vogliono esporsi?
Perché obbiettivamente non sanno che cosa faranno la prossima settimana o tra due. Per esempio sul referendum, abbiamo una quantità rilevantissima di indecisi. Nelle ultime elezione europea, il 30% degli elettori italiani ha dichiarato di avere scelto la settimana stessa del voto. Quindi, tutti i sondaggi fatti prima si infrangevano contro una realtà difficile da decifrare.

Trump, fuori dai sondaggi, chi è?
È l'espressione degli Stati Uniti d'America, in particolare di quegli Stati che spesso sottovalutiamo, gli Stati del Sud. Pensiamo che gli Stati Uniti siano New York…

New York è una sorta di enclave, un mondo a sé, non "l'America"…
Che infatti è anche rurale, conservatrice, altra rispetto a certi sguardi. Poi negli Stati Uniti vige un sistema elettorale particolare, per cui chi prende il 51% dei voti in uno stato ottiene tutti i grandi elettori. Se pensiamo che uno stato come l'Ohio ha un numero molto alto di grandi elettori, capiamo che più che mai sarà decisivo. L'incertezza quindi è reale, non solo percepita.

Andiamo all'Italia: l'indicazione di andar cauti vale anche per il referendum del 4 dicembre prossimo?
Suggerisco infatti di esserlo, perché oggettivamente la gente non sa che cosa voterà. Non solo non lo sa, ma cambia idea all'ultimo momento. Negli Stati Uniti, proprio in queste ore, vediamo cambi di idee repentini in relazioni alle dichiarazioni del FBI. L'orientamento di voto pro o contro Hillary ne In Italia, la campagna del referendum è assolutamente "carica", in questo momento, e moltissimi passano dal "sì" al "no" e viceversa dopo aver seguito questa o quell'altra opinione. Non è come una volta, quando le identità di partito erano fisse e stabili. Nel dopoguerra, i comportamenti elettorali non mutavano da un'elezione all'altra o, se mutavano, mutavano di cifre irrisorie.

C'era un'aderenza e una visione del mondo più stabile…
E un'identità che non variava in base alla campagna elettorale e le elezioni erano solo un ribadire la propria identità, non tanto una scelta dei programmi. Oggi, per tanti motivi, le identità sono svanite e la gente decide di volta in volta – come, ad esempio, in Italia sul "sì" e sul "no" al referendumo – ed è molto difficile prevedere che cosa accadrà.

Inoltre c'è un punto di vista tecnico: tutti i sondaggi, per loro natura, hanno un margine di errore. Eppure ce ne dimentichiamo…
In un campione, tipicamente di 1000 casi, come si usa sui media, il margine di errore è del 3%. Se, ad esempio, dico che il "sì" vincerà con il 52% dei voti o che il tal partito prenderà il 3%, essendoci un margine di errore del 3% praticamente non prevedo niente. Questo è un altro aspetto di difficoltà previsiva dei sondaggi.

Quindi se alla televisione ci dicono che il tal partito è cresciuto dello 0,5% o del 2%…
Se calcoliamo il numero degli intervistati, vediamo che la cifra si riferisce spesso a mezzo intervistato, il che ci porta nel campo dell'improbabile. Dunque, riepilogando i sondaggi funzionano molto bene quando si tratta di fotografare la realtà, mentre fanno molto più fatica a prevedere i risultati, ancora di più quando questi dipendono da entità percentuali molto piccole. Abbiamo aspettative di "certezza" che i sondaggi non possono adempiere in nessun modo.

C'è anche un uso esplicitamente politico dei sondaggi. Quest'estate a Trump consigliavano di ritirarsi, avrebbe perso a man bassa, dicevano i sondaggisti. Oggi il margine è forse proprio del 3%…
Direi anche meno. Certo, i sondaggi vengono anche utilizzati a fini politici perché c'è una tendenza, da parte di alcuni elettori, di votare chi vince. E se percepiscono che il soggetto A, anziché il soggetto B potrà vincere votano A.

In Italia si è scelto di vietare per legge la pubblicazione dei sondaggi nei 15 giorni precedenti le elezioni, lei che ne pensa?
Penso sia una soluzione sbagliata. Basta prendere atto che i sondaggi non possono prevedere il futuro.

Lei è stato tra i primi a occuparsi dei cosiddetti neopopulismi, studiando ad esempio le prime matrici della Lega Lombarda. Oggi, con Trump, abbiamo una base sempre più ampia su cui si sviluppano o si innestano questi neopopulismi…
Non a caso la base è quella della insoddisfazione sempre più ampia della protesta. Qui l'America e l'Italia sono molto diverse. In Italia viviamo un momento di grandissime difficoltà economiche che hanno mutato radicalmente in peggio la vita quotidiana di moltissime persone. Davanti a questo mutamento, le persone tendono a ribellarsi anche in maniera, diciamo così, poco meditata. Non essendoci più le ideologie di un tempo, si appoggiano a chi protesta di più e protesta per loro o a chi ha slogan facili. Questo è un fenomeno che si ritrova in tutta Europa e, in parte, anche se lì è un po' di verso, negli Stati Uniti.

È un fenomeno legato alle fine delle ideologie, quindi?
Esattamente e dobbiamo tenerne conto. Faccio presente, però, che l'adesione di molti elettori dipende sì dagli slogan facili di questi neopopulisti, ma anche dalla difficoltà di indicare soluzioni concrete e credibili da parte degli altri. Pensiamo all'esempio del Movimento 5 Stelle a Roma, dove nonostante le evidenti difficoltà dai sondaggi non sembrano aver diminuito i voti. Questo non dipende dal fatto che siano bravi, ma dal fatto che gli altri non riescono ad attrarre la fiducia su proposte concrete che appaiano convincenti agli elettori stessi.

Immigrazione, Europa, frontiere: temi cruciali di cui dobbiamo prendere atto, prima che altri lo facciano per noi?
Io ho dei dati che mi confermano che, sull'immigrazione, gli italiani hanno nei confronti degli americani un atteggiamento sempre più severo. Gli italiani sono sempre più diffidenti nei confronti degli italiani e si nota un dato di chiusura crescente, con atteggiamenti che si incrementano percentualmente di mese in mese. Questo ha avuto un effetto sui comportamenti elettorali. Non solo, anche sull'Europa le cose sono cambiate. Solo 15 anni fa suscitava reazioni positive, di fiducia e dava dell'Italia la rappresentazione del più europeista tra i paesi europei. Oggi, c'è un crollo. Dall'80% di popolarità, siamo passati a un 40% tendente verso il 30%.

Questo che cosa significa?
Questo significa che tutti che partiti che hanno atteggiamenti antieuropei raccolgono consensi, perché a torto o ragione l'europa non ci piace più.

Immagine in copertina: Kirill Kudryavtsev/Afp/Getty


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