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Quanto donano gli italiani?

Nel nostro Paese non è facile rispondere a questa domanda. Noi ci abbiamo provato sul numero di Vita in edicola da venerdì. Il risultato è che gli italiani donano meno di inglesi e americani. Ma farebbero di più. Se solo...

di Riccardo Bonacina

Quanto donano gli italiani? La domanda è semplice e quindi tale dovrebbe essere anche la risposta. Ma viviamo in un Paese strano dove ciò che è semplice è spessissimo la cosa più complicata. Essendo il nostro fisco assai poco trasparente (chissà se davvero cambierà qualcosa) e perciò non restituendo i numeri di quanti contribuenti facciano uso delle misure previste per detrazioni (quasi 100!) e per la deducibilità alle donazioni al non profit e in assenza di una qualsiasi Authority o Agenzia terza dedicata allo studio del settore, in questi anni in molti hanno provato a rispondere a questa domanda fornendo risposte alquanto disparate e spesso degne di una supercazzola o di una leggenda metropolitana. Si pensi al dato Doxa che parla di donazioni da individui pari a 670 milioni o al dato che spesso gira di una raccolta fondi nel solo settore del Sostegno a distanza di circa 400 milioni, una supercazzola e una leggenda metropolitana, appunto.

Per questo tempo fa abbiamo deciso di provare a dare una risposta seria a una domanda così semplice, dandoci il tempo di un mese di lavoro di indagine e di inchiesta e provando a interrogare tutte le fonti disponibili, a partire dal preziosissimo Censimento Istat del 2011. Il risultato di questo lavoro approfondito e serio, a cura di Gabriella Meroni, lo trovate nel servizio di copertina del numero in edicola da venerdì 6 marzo .

Qui permettetemi di trarre qualche conclusione e considerazione.
La prima. Gli italiani donano circa 116 euro a testa contro i 220 degli inglesi e i 750 degli americani. Insomma, si può fare di più e certamente gli italiani lo farebbero (o forse già lo fanno ma attraverso canali informali e non tracciati e tracciabili). Ma perché accada occorrono meno norme, norme più semplici, norme più vantaggiose, e, come già si accennava, un fisco più trasparente.

La seconda. Il Parlamento sta discutendo la Riforma del Terzo settore in queste settimane. Il cammino riformatore sarà un fallimento se non saprà affrontare questi due nodi: a) incoraggiare in maniera decisa la propensione donativa dei cittadini e di tutti gli attori privati; b) promuovere la trasparenza negli enti di Terzo settore che raccolgono fondi dai cittadini attraverso un Registro unico nazionale, imponendo l’obbligo di pubblicazione anche online dei bilanci, incoraggiando e promuovendo la cerificazione dei bilanci.

La terza. Secondo le stime del Rapporto nazionale SWG per l’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione sull’impegno sociale delle aziende italiane, le imprese italiane investono in csr o responsabilità sociale circa 1 miliardo (dati 2013). Non tutte queste risorse sono rivolte però alla filantropia, anzi: gran parte infatti viene investito per il welfare aziendale o ad iniziative volte a ridurre gli sprechi e migliorare l’impatto ambientale, mentre solo il 38% va a cause di solidarietà esterne, ovvero 380 milioni cui aggiungere i circa 200 milioni annui investiti in solidarietà dalle Fondazioni d’impresa (dati Fondazione Agnelli). Troppo poco rispetto agli utili, meno dei bonus e dei compensi ai manager visti in questi anni. Le imprese italiane possono fare molto di più e dovrebbero capire che è innanzitutto una loro convenienza. Il mercato nel deserto non si dà, il mercato ha bisogno di fiducia e perciò deve contribuire a crearla.


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