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Economia & Impresa sociale 

ABI: più immigrati in banca e più trasparenza sui criteri Esg

3 migranti su 4 dispongono di un conto con cui accedere ai principali servizi finanziari. A rivelarlo sono le prime anticipazione del Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti, gestito dal Cespi, il Centro Studi di Politica Internazionale

di Monica Straniero

A fine del 2015 oltre 2,5 milioni i conti correnti intestati a cittadini di 22 nazionalità. In pratica 3 migranti su 4 dispongono di un conto con cui accedere ai principali servizi finanziari. A rivelarlo sono le prime anticipazione del Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti, gestito dal Cespi, il Centro Studi di Politica Internazionale, che è stato presentato venerdì nel corso del Forum CSR 2016. Il convegno, organizzato dall’Associazione bancaria italiana (ABI) sui temi della responsabilità sociale, come è ormai tradizione da undici anni, si è rivelato un momento di confronto per le aziende nazionali e internazionali interessati a investire sulla cultura della sostenibilità.

Tema cruciale è dunque favorire la partecipazione sociale ed economica degli immigrati. Secondo l’Osservatorio l'inclusione finanziaria degli immigrati si fa infatti più evoluta. La metà dei conti correnti intestati a cittadini migranti include infatti l’internet banking, il 41% dispone di servizi di finanziamento, il 40% di servizi assicurativi e il 15% di servizi di investimento. I cittadini migranti si rivolgono alle banche anche per investire nel mattone. I finanziamenti per l’acquisto della prima casa rappresentano infatti il 33% del totale dei crediti concessi dalle banche, in crescita del 2,7% rispetto al 2014. Aumentano i flussi complessivi delle rimesse dall’Italia.

Lo studio conferma ancora una volta la capacità dei migranti non solo di mettere a frutto le competenze dei loro Paesi d’origine ma anche di trovare le risorse necessarie. E quindi nel 2015, sono state oltre 122mila le aziende gestite da imprenditori immigrati contro le 110mila del 2014. Sorprende il dato sulle imprese femminili con titolare straniero che rappresentano ben il 31,7% del portafoglio small business delle banche e fanno registrare tassi di crescita superiori alla media negli ultimi 4 anni.

Che sia un imprenditore straniero o italiano, entrambi hanno l’impegno morale di generare un impatto positivo sulla società in cui operano e sul territorio che occupano. Da una ricerca del Ministero dello Sviluppo economico, l’80% delle imprese italiane con oltre 80/100 dipendenti dichiara infatti di impegnarsi nella responsabilità sociale per un investimento globale che ha raggiunto la cifra record di 1 miliardo e 122 milioni di euro nel 2015.

Ma c’è ancora molto da fare per verificare in che modo le imprese hanno scelto la CSR come questione fondamentale, non un argomento di moda. Secondo uno studio di EY presentata a giugno scorso, soltanto un’azienda su cinque (il 21%) ha già introdotto pratiche di rendicontazione di sostenibilità, così come previsto dalla direttiva comunitaria 2014/95/UE il cui recepimento da parte degli stati membri è prevista per oggi 6 dicembre.

In sintesi si obbliga le aziende di interesse pubblico con più di cinquecento dipendenti, a partire dal 1° gennaio 2017, di integrare il bilancio d’esercizio con una reportistica sulle performance realizzate in una serie di ambiti: l’ambiente, la sfera sociale, il personale, il rispetto dei diritti umani e delle diversità e le policies anticorruzione. Una direttiva che rappresenta quindi un passo avanti nello sviluppo di un sistema di buone pratiche di responsabilità sociale, sia pure con il principio del “comply or explain”, ovvero se una banca non adotta tali misure dovrà spiegarne i motivi.

Ma qual è lo stato dell’arte della Rendicontazione di sostenibilità nel settore bancario? A leggere i risultati dell’ indagine Abi presentata a conclusione del Convegno sembra che le banche italiane abbiano già iniziato da tempo il percorso di dar conto a tutti i portatori d’interesse delle proprie azioni e dei risultati conseguiti, nella consapevolezza che qualsiasi attività che viene svolta genera degli impatti e ha dei risvolti a livello economico, sociale ed ambientale. Il 99% del campione preso a riferimento dichiara quindi di utilizzare le linee guida internazionali stabilite dal Global reporting initiative (GRI). Mentre per l'85% del campione il Cfo (Chief financial officer, Direttore finanziario) è tra i soggetti che approva i contenuti della rendicontazione. Infine ben l'83% evidenzia un sempre maggiore coinvolgimento di tutta la struttura aziendale nel processo di rendicontazione.


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