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Fondazione Cariplo, quel patto con il territorio al cuore dei testamenti solidali

Le 15 fondazioni di comunità fatte nascere in Lombardia da Fondazione Cariplo hanno lanciato la loro prima campagna sui lasciti testamentari, a favore proprio delle fondazioni comunitarie. Il lascito andrà in un fondo patrimoniale gestito dalla fondazione, i cui rendimenti saranno destinati in modo permanente alla causa o all’ente indicato. «Un’opportunità nuova per chi vuole fare un lascito ma anche per gli enti del territorio», spiega Filippo Petrolati

di Sara De Carli

«Sempre caro mi fu quest’ermo colle», scriveva Leopardi: al posto del colle può esserci un monumento, quell’associazione che fa parte da sempre della vita di una comunità, quella causa che ci ha appassionato per tutta la vita. Lo scorso 4 ottobre, in occasione della Giornata del Dono, le 15 fondazioni di comunità fatte nascere in Lombardia da Fondazione Cariplo hanno lanciato la loro prima campagna sui lasciti testamentari, a favore proprio delle fondazioni comunitarie. Il punto di forza è il territorio, il “proprio” territorio: quello a cui – a un certo punto della vita – si può voler restituire un po’ di quanto ci ha dato. «Aiutare il tuo mondo è possibile», è il concetto chiave, che si sostanzia in un forte patto territoriale e intergenerazionale.

Il punto di partenza è la stima fatta proprio dall'Osservatorio di Fondazione Cariplo: potenzialmente da qui al 2030 il non profit potrebbe ricevere fra i 100 e i 129 miliardi di euro da eredità e lasciti. Demografia alla mano, nei prossimi quindici anni ci sarà una successione in sei milioni di famiglie, per 848 miliardi di euro di “quota disponibile”. Solo in Lombardia, potrebbe arrivare 12 miliardi di euro. Gran parte delle 15 fondazioni di comunità della rete di Fondazione Cariplo ha già ricevuto lasciti in passato, per un valore complessivo di 12 milioni di euro fra il 2006 e il 2016. «Da qui vogliamo ripartire», spiega Filippo Petrolati, responsabile del progetto “Fondazioni di comunità” di Fondazione Cariplo: «è qualcosa che sappiamo già fare, vogliamo rilanciare per dare opportunità nuove sia agli enti sia a chi desidera destinare parte del proprio patrimonio per migliorare il contesto e la vita delle persone e dei giovani che vivono le nostre comunità».

Il fondo diventa una sorta di fondazione dentro una fondazione già esistente, con il vantaggio di sfruttare le economie di scala, di assicurare competenze specifiche nella gestione patrimoniale, di garantire la sicurezza della realizzazione perché eroghiamo a rendicontazione

Filippo Petrolati

La peculiarità essenziale sta nel fatto che il lascito testamentario o l’eredità a beneficio di una fondazione di comunità si traducono in un fondo filantropico permanente: un fondo patrimoniale gestito dalla fondazione, i cui rendimenti saranno destinati in modo permanente alla causa o all’ente indicato nel testamento. È un “per sempre” dell’aiuto, poiché il fondo non si esaurisce mai: un contributo alla causa garantito nel tempo. «Il fondo diventa una sorta di fondazione dentro una fondazione già esistente, con il vantaggio di sfruttare le economie di scala, di assicurare competenze specifiche nella gestione patrimoniale, di garantire la sicurezza della realizzazione perché eroghiamo a rendicontazione», spiega Petrolati.

Il fondo è un’opportunità per chi vuole fare un lascito, poiché si può crearne uno nuovo – definendone nome, finalità e modalità operative – oppure si può destinare la propria donazione a un fondo già costituito, scegliendo la finalità più vicina alla propria sensibilità: «Non servono grandi patrimoni, in questo senso il fondo consente a tutti di lasciare una traccia di sé, a beneficio della propria comunità e delle generazioni che verranno». Ma allo stesso tempo il fondo è un’opportunità per gli enti del territorio: un lascito «comporta una certa capacità di gestione patrimoniale, potersi appoggiare a chi gestisce patrimoni per mission è un aiuto». In più il fondo consente di destinare il proprio lascito anche a una causa generale, svincolandosi dalla sopravvivenza di un ente specifico: «nel caso in cui il contesto socioculturale in futuro cambiasse, le volontà del donante possono essere riattualizzate grazie alla conoscenza del territorio e degli enti che la fondazione ha», conclude Petrolati.


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