Welfare & Lavoro

Il Comune non paga, servizi a rischio per 180 disabili senza famiglia

«Al Comune di Napoli non chiediamo neanche i soldi, chiediamo la certificazione del credito. Perché altrimenti ci nega ogni forma di accesso al credito, mettendo in ginocchio servizi residenziali per 180 persone con disabilità gravi e il lavoro di 230 dipendenti»: così il direttore sanitario della cooperativa Napoli Integrazione

di Sara De Carli

«Al Comune di Napoli non chiediamo neanche i soldi, sappiamo che non li ha: chiediamo una banalità, la certificazione del credito. Perché con questo atteggiamento nega alla cooperativa ogni forma di accesso al credito, mettendo in ginocchio servizi residenziali per 180 persone con disabilità gravi e il lavoro di 230 dipendenti più quelli dell’indotto»: così Angelo Cerracchio, direttore sanitario della cooperativa Napoli Integrazione, a marchio Anffas, riassume una situazione ormai insostenibile, che tre giorni fa ha portato i vertici della cooperativa a preannunciare le dismissioni di tutti i servizi, le dimissioni protette di oltre 200 persone con disabilità gravi in regime residenziale e il licenziamento di oltre 300 persone.

Napoli Integrazione segue 180 persone in tre strutture residenziali. «Non sono nemmeno utenti, sono persone invecchiate con noi. Si tratta di persone con una grave disabilità, senza autonomia, che hanno bisogno di assistenza continua e che sono privi di un valido sostegno famigliare. Sono queste le condizioni per entrare nelle nostre strutture. O sono senza famiglia o sono stati abbandonati alla nascita o hanno genitori anziani o non in grado di garantire loro l’assistenza», spiega Cerracchio. «Le faccio un esempio, proprio di ieri: una signora di 41 anni, con la sindrome di Down, che viveva con la madre 75enne che stava pensando al dopo di noi… La madre è morta improvvisamente, ci ha chiama il suo Comune di residenza, “possiamo portarla ad horas?”. Sì, non siamo un pronto soccorso, ma cosa vuoi rispondere? Non puoi lasciarla da sola… La tragedia è questa».

Le faccio un esempio, proprio di ieri: una signora di 41 anni, con la sindrome di Down, che viveva con la madre 75enne che stava pensando al dopo di noi… La madre è morta improvvisamente, ci ha chiama il suo Comune di residenza, “possiamo portarla ad horas?”. Sì, non siamo un pronto soccorso, ma cosa vuoi rispondere? Non puoi lasciarla da sola… La tragedia è questa

Angelo Cerracchio

Il credito della cooperativa nei confronti del Comune i Napoli è di 2,5 milioni di euro al 2015, legato al fatto che il Comune non paga dal 2013 la quota di compartecipazione alle prestazioni socio-sanitarie. Il problema esiste alla stessa maniera anche con altri Comuni, me i numeri del capoluogo lo fanno diventare esplosivo. «Finora abbiamo fatto ancitipazioni bancarie sulle fatture, con le banche che chiedono fino all’8-9%, adesso abbiamo bisogno che Napoli almeno ci certifichi il credito. Invece nega anche questo perché pare che una circolere del 1993 definisce i crediti che i Comuni devono pagare prioritariamente e fra questi non ci sono queste prestazioni sociosanitarie. Insomma, sanno di avere il debito ma non hanno idea di quando potranno pagarlo», spiega Cerracchio.

La storia in sintesi è questa: fino al 2011 le asl si sono accollate i costi del sociosanitario per le prestazioni sociosanitarie, ma con i Commissari e i piani di rientro, le Asl hanno chiesto di rientrare delle anticipazioni fatte. Dall’aprile 2012 le quote sono in carico ai Comuni, ma molti non hanno pagato. «Poiché si tratta persone con grave disabilità, che non hanno reddito, la compartecipazione delle famiglie è bassissima, queste quote sono spesso tutte a carico comuni, diciamo dal 30 al 60% retta, con una media intorno al 50%. «Il problema vero», riflette Cerracchio, «è che l’integrazione sociosanitaria non esiste solo dal punto di vista strutturale e organizzativo ma solo da quello normativo. Se a monte non si chiarisce chi deve erogare cosa nelle prestazioni sociosanitarie, chi finanzia e chi ha responsabilità, c’è una conflittualità continua e perenne».

Foto Nathan Anderson/Unsplash


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