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Lo scopo di Facebook, Microsoft e Amazon? Riprogrammare la vita umana

«I padroni degli algoritmi sono oggi i veri titolari dei poteri prescrittivi a livello globale. Assistiamo al rompersi non solo della neutralità della rete ma anche della neutralità del software». Così il giornalista, saggista e docente universitario Michele Mezza, intervistato da Vita.it, spiega che mondo ci aspetta

di Lorenzo Maria Alvaro

Mark Zuckerberg con il manifesto “Building Global Community”, Bill Gates e Bono Vox con il loro impegno congiunto con l’associazione One (che li ha recentemente portati a alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco) e Jeff Bezos con la sua irruzione nel campo politico americano contro Donald Trump.

Che qualcosa stia succedendo ai vertici del mondo è evidente. Alcuni dei più potenti, ricchi e popolari tycoon della rete – si legga Facebook (che vuol dire anche Instagram e Whatsapp), Microsoft e Amazon – «hanno cominciato a mettere piedi e mani nel piatto della politica», come ha scritto su Fb il giornalista, saggista e docente universitario Michele Mezza, recentemente uscito con il suo ultimo libro “Giornalismi nella rete – Per non essere sudditi di Facebook e Google”.

A fronte di Zuckerberg che scrive la sua volontà «di costruire nel lungo termine una infrastruttura sociale per unire l'umanità», Bezos che si propone come defensor democratiae e Gates che si autocandida a leader politico del futuro la reazione di giornalisti, politici e intellettuali e invariabilmente entusiasta.

Nessuna voce contraria, nessun dubbio, nessuna domanda. Per questo abbiamo chiesto a Mezza di raccontarci perché per lui «Internet sia diventata la clava in mano a chi la domina per ricostruire a propria immagine e somiglianza una nuova opinione pubblica globale che uccida definitivamente gli stati nazionali e affermi un nuovo livello di tutoraggio sulle istituzioni».


Professore, in cosa consiste il cambiamento che lei sta denunciando?
Nella crisi della democrazia c’è un protagonismo di questi principi della rete che inevitabilmente stanno entrando prepotentemente nel piatto della politica.

Un fatto che però sembra generare entusiasmo diffuso ad ogni latitudine…
Sì, anche oggi, dopo l’uscita di Bezos, tutto viene salutato ed esaltato da cori ebbri di gioia

Perché lei invece è critico?
Sì, in sintesi penso che oggi i poteri dominanti, accanto ad altri che considero declinanti tra cui Trump, sono legati all’automatizzazione dei comportamenti mediante la centralità degli algoritmi. Per cui penso che i padroni degli algoritmi siano oggi i veri titolari di poteri prescrittivi a livello globale. Dunque non solo incoraggiarli ma addirittura sollecitarli ad assumere ruoli e responsabilità e tutoraggi sulla rete, come si fa sulla vicenda delle fake news chiedendo a Fecebook di certificare la veridicità dell’informazione, sia una cosa grave che non sta né in cielo che in terra.

Perché trova così strano che Fb faccia questa operazione?
Chiedere a Facebook e al suo algoritmo di entrare nel merito della notizia ha come esito il rompersi non solo della neutralità della rete ma anche della neutralità del software, che diventa elemento editoriale. Un ordinatore editoriale.

Quindi il quadro è cupo?
Il manifesto di Zuckerberg, il protagonismo di Bezof e l’attivismo di Gates sono segnali di una verticalizzazione secondo me preoccupante. Zuckerberg poi parla di valorizzare le notizie secondo il minutaggio con cui vengono lette. Cosa che per altro già accade. È esattamente il funzionamento di quel social network. Le notizie su Fb vengono visualizzate in base a una valutazione preventiva che fa l’algoritmo di Facebook sulla circolabilità di quel contenuto. Se considera quel contenuto diffusivo lo valorizza e lo moltiplica. Ecco perché capita di vedere certe notizie passare da 25mila visualizzazioni a 1,5 milioni in due ore. Non perché sia effettivamente letta, ma perché Fb se ne impossessa e la usa come motore del social. Ora che questo sistema sia anche indirizzato ad una sorta di ecologia dei contenuti è una cosa pericolosa. Perché ovviamente i limiti di questo processo sono ingovernabili.

Cosa intende per ingovernabilità?
Una volta che si autorizza un algoritmo opaco e non conosciuto tanto meno negoziabile ad agire sui contenuti a quel punto si arpono scenari inquietanti. Un fatto per altro che lo stesso Zuckerberg ha già ammesso.

Quando?
Zuckerberg è stato convocato dalla Comissione Commercio del Senato l’anno scorso all’inizio della campagna elettorale per le presidenziali per rispondere di un “algoritmo anti-conservatore”. I trumpiani infatti lo accusavano di boicottare su Facebook Trump. In quell’occasione Zuckerberg disse una cosa gravissima spiegando che si trattava di parte di un percorso che noi – quel “noi” non si capisce a chi si riferisca – stiamo facendo per colmare il gap che ancora separa quello che oggi un algoritmo fa da quello che domani dovrà fare. Ora questo “dovrà fare” chi lo decide? È questo il punto.

È anche vero però che si tratta di una Spa, un’impresa privata, dunque è normale che faccia del proprio algoritmo quello che vuole…
Non è così. Ed è lo stesso Zuckerberg a scriverlo nel manifesto. Quando scrive che vuole «costruire nel lungo termine una infrastruttura sociale per unire l'umanità». Bisogna prenderlo molto sul serio. Stiamo parlando di uno spazio pubblico. Una cosa in cui ci sono 2miliardi di persone è per forza uno spazio pubblico. Deve esserlo. Quindi ha ragione il fondatore, Facebook è una infrastruttura che sta legando l’umanità. E come tale deve essere nei suoi meccanismi primari, leggi algoritmi, trasparente, condivisa e negoziabile. Esattamente come tutte le strutture che da proprietarie sono diventate spazi pubblici, come la sanità, l’acqua, l’informazione e la scuola. Se si andasse a guardare la curva evolutiva di questi fenomeni si scoprirà che tutti sono nati come attività proprietarie private e per la loro pervasività sociale c’è sempre stato qualcuno, in quel momento lo stato nazione, che è intervenuto valutando quel settore talmente rilevante da non poter essere gestito privatamente.

Significa che, in quanto media, Fb fa servizio pubblico e per questo può essere controllata?
No, non è così. Facebook non è un media. È un punto molto importante. Il tema non è l’informazione. La rete è la protesi della vita. Per cui va misurata come qualsiasi altra protesi della vita come appunto sanità, acqua o formazione. Sono beni comuni, non statali. Per cui devono essere sottoposti innanzitutto al principio di trasparenza. Come un farmaco, non basta che sia brevettato, deve essere controllato e testato e devono essere indicati tutti i componenti. Lo stesso vale per l’algoritmo: deve essere trasparente. Cioè Fb deve comunicare come funziona. Che sia un bene proprietario brevettato non conta. Senza sottilizzare sul motivo stesso per cui è nata la rete.

Può spiegarsi meglio?
I social e prima di loro i motori di ricerca, le community e la rete sono nate in base ad un principio: la circolarità e l’accessibilità dei saperi prevalgono sulla titolarità degli stessi. È il motivo per cui i contenuti vengono diffusi disinteressandosi di chi sono i proprietari. Se si digita “Colosseo” su Google verranno proposte milioni di foto del Colosseo ma non si preoccuperà mai del copyright. Questo però non può valere solo per i beni che i colossi della rete. Questa accessibilità deve valere anche per loro, per i loro algoritmi. Che devono essere negoziabili, integrabili e modificabili. Perché in un ambito riscontro effetti perversi devo essere in grado di intervenire.

Ci sono esempi concreti di Governi che hanno attuato questo tipo di intervento?
L’India, tre mesi fa, ha realizzato il primo caso. Facebook stava limitando la gestione delle informazioni sul suo social offrendo in cambio la connettività a tutto il Paese. Il ministro delle comunicazioni indiano ha chiamato Fb minacciando che se non avessero riabilitato tutte le capability che c’erano prima o lo avrebbero staccato. In quattro ore tutto è tornato alle origini. Ma ci sono casi anche cittadini

Ad esempio?
Amburgo. Quando Fb aveva deciso di unificare la lettura dei big data di Fb e Whatsapp per avere una massa di profilazione enormemente superiore per ogni singolo utente, il garante dell’informazione della città tedesca li ha diffidati pena l’esclusione da tutti i servizi della città. Hanno vinto.

E in Italia che cosa stiamo facendo?
Nulla. Ma questo dibattito sulle fake news è delirante. E che la presidente della Camera Boldrini chieda via lettera a Facebook addirittura di essere tutore dell’informazione del mondo è grottesco. Ma la cosa peggiore è che non c’è un giornalista, o un rettore di università che le dica che non si può fare.

Il tema delle fake news però, rispetto al mutamento antropologico che questa tecnologia sta generando, è un tema trascurabile…
Perfetto.

Non so se ha letto Infinite Jest di Wallace, o visto la serie Black Mirror. Parlano proprio di questo. E a pochi anni dalla loro realizzazione sono già stati superati dalla realtà…
Certamente. Basta pensare a “Il Cerchio“ di Dave Eggers, che descriveva 4 anni fa Facebook in termini fantascientifico. Oggi per fare il film di quel libro gli hanno chiesto di riscriverlo perché non è più attuale.

Bene, non è su questo che dovremmo concentrarci?
Certo, il vero dibattito è sull’intelligenza artificiale e sulla singolarità. Cioè sul fatto che siamo ormai a pochi minuti dalla singolarità. Da quel processo per cui il dispositivo tecnologico si rende autonomo e si separa dall’azione pianificatrice dell’uomo che lo ha progettato. Ma infatti dobbiamo smetterla di discutere, come dice Craig Venter, della potenza di calcolo come una risorsa che serve a fare Twitter e Facebook. Questi sono flipper per bimbi deficienti. La potenza di calcolo serve per riprogrammare la vita umana. È genetica, biotecnologia, ingegneria biogenetica.

È in effetti l’ambito di ricerca in cui si sta spendendo di più nel mondo…
Non si è mai parlato di meccanismo del cervello come oggi. Il tema vero è come insinuarsi là dentro. Il tema è che i servizi sociali, da qui a 5 anni, saranno dei grandi centri di analisi di big data e di realizzazione di soluzioni personale. A condizione però che ciascuno si uniformi a certi comportamenti. Ora il punto è: ma tutto questo chi lo decide. I limiti chi li mette?

Come si reagisce a tutto questo, visto anche l’immobilismo dei Governi?
Innanzitutto dobbiamo chiarire che non abbiamo mani nude rispetto a questi processi. Facciamo un passo indietro.

Prego…
Cento anni fa fabbrica e industrializzazione erano un fenomeno molto simile a quello che viviamo oggi. Una vera rivoluzione. A chi dice che erano cambiamenti più lenti ricordo che nel 1903 Henry Ford fa la prima catena di montaggio e nel 1917 Lenin fa la rivoluzione in Russia. L’unica differenza è che oggi non stiamo discutendo di una simmetria tra pochi centri che controllano il sapere e una plebe di derelitti. Abbiamo un meccanismo che si chiama rete che crea potenza di calcolo su base associativa. Ecco perché non abbiamo mani nude.

Cosa vuol dire concretamente?
Abbiamo grandi opzioni nel creare una massa critica in gradi di contrapposi allo sviluppo di grandi potenze scientifiche.

Lei dice di usare Facebook contro Facebook?
Dico di usare la rete per quello che è e per cui è nata. Solo che invece che partire dal consumo, come genialmente Zuckerberg ha fatto, facendo diventare la rete un amplificatore di consumi. Dobbiamo porre al centro il problema della produzione, per cui il coinvolgimento diretto della masse di community nell’interferire quello che una volta chiamavamo banalmente open source.

Quindi i Governi sono fuori gioco?
Certo perché il punto è esattamente la disintermediazione. Questi tycoon si sono candidati ad essere i nuovi mediatori. Per cui loro hanno disintermediato i vecchi media, politica e accademia per sostituirsi e diventare erogatori della vita. Questo processo va combattuto. Ci vuole quella che si è sempre chiamata nella storia la “conflittualità sociale”. Perché la rete deve essere buona o cattiva di per sé? Sarebbe terribile se fosse stata buona in maniera indolore. La rete sarà buono o cattiva come risultato dei rapporti di forza di chi c’è.

In questo ambito i media che ruolo possono e devono avere?
La battutaccia sarebbe dire: morire

Grazie…
Facendo un ragionamento un po’ più equilibrato devono diventare un soggetto di questo conflitto, capendo che quello che è cambiato non è il processo distributivo. Non basta passare dalla carta alla rete con lo stesso metodo. È cambiato il protagonismo individuale dell’utente. Quello che Manuel Castells chiama “l’autocomunicazione di massa”. I media non possono più mediare. Devono supportare, con la loro esperienza e competenza, processi di consapevolezza nell’interferire sui sistemi editoriali, sui moti di ricerca, sui data base, sul cloud e sulle memnorie3. Il giornalista oggi è colui che introduce elementi critici nei processi di automazione nel trattamento dell’informazione.


Il libro



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