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Cooperazione & Relazioni internazionali

Londra, la strategia della normalità

L’attentato di ieri vissuto in diretta a poche centinaia di metri dal dramma. Le persone seguono quasi in diretta le news, ma nessuno si scompone e nessuno si lascia prendere dalla paura. In metropolitana l’altoparlante spiega a tutti l’accaduto

di Giuseppe Frangi

C’è una cosa che ha colpito me e chi era con me ieri a Londra: l’assoluto self control della città man mano che dagli smartphone prendeva forma la notizia di un nuovo attentato terroristico che aveva colpito la città.

Eravamo a poche centinaia di metri da Westminster e l’informazione è arrivata pressoché in diretta: prima senza dettagli, poi in poco tempo, sempre più precisa. L’attacco era al centro del potere, cioè ad uno dei luoghi più “sensibili” del paese, e quindi emotivamente poteva avere dei riflessi pesanti per le persone. Presto gli elicotteri hanno iniziato a volare sul cielo ieri piuttosto plumbeo della città, ma attorno a noi, in luoghi affollati come è affollato sempre ogni luogo del centro di Londra le persone conservavano calma e capacità di controllo. La gente parla, commenta, si scambia notizie, ma senza scaldarsi d’animo. E poi c’è l’evidenza che nessuno cambia strada rispetto al programma della propria giornata, tolto il fatto che da quella zona non si passa e quindi bisogna metterlo in conto.

Quello che per tutti i media del mondo diventa una breaknews che sconvolge i palinsesti, per i londinesi di tutte le razze e di tutte le etnie è come un qualcosa di già messo in conto: sanno di vivere in una città che proprio per essere un centro del mondo, è sempre messa nel mirino. Non è rassegnazione, non è neanche abitudine a questo tipo di episodi in una metropoli di 10milioni di persone che macina novità e notizie ad ogni istante. Piuttosto sembra che la gente a Londra abbia a suo modo battuto in partenza il terrorismo nel relativizzarlo. Nel non permettergli di interrompere la routine regolare della vita.

Quando arriviamo alla metropolitana, stazione Pimlico, questa sensazione diventa ancora più chiara e si capisce che obbedisce ad una strategia. L’altoparlante, a ritmo continuo, e con voce molto calma, innanzitutto aggiorna tutti in modo sintetico sull’accaduto e poi in sequenza spiega che i treni potrebbero avere ritardi e che comunque la regolarità viene garantita e che la situazione è del tutto sotto controllo. Una raccomandazione finale è quella di comportarsi con normalità senza farsi prendere in nessun modo dal panico, perché non c’è motivo. E così è.

Il monitor annuncia l’arrivo del treno in due minuti, che si allungano senza che nessuno lasci la banchina né inizi ad innervosirsi per la paura. Di minuti ne passano quasi una decina. L’altoparlante aggiorna sempre i motivi del ritardo. Poche delle persone intorno a noi parlano dell’accaduto. C’è chi studia l’itinerario per saltare la linea che è stata chiusa (quella più direttamente interessata dalla zona dell’attentato). Sentiamo anche qualche scambio di battute sul programma per la serata. C’è anche lo spazio psicologico per sorridere di un episodio accaduto nella giornata. Quando arriva il treno nessuno si fa prendere dalla frenesia. Perché è stato annunciato che altri due treni seguono a ruota. E in pochi minuti la banchina torna alla assoluta regolarità.

Poco dopo alla Stazione Victoria, sulle scale mobili che si incrociano, vediamo centinaia di persone che vanno a chiudere la loro giornata, con la frenesia che è proprio di una grande metropoli. Non c’è ombra di paura e men che meno di psicosi. E la sensazione è che la capacità di Londra di essere normale è il miglior antidoto al terrorismo.


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