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Il successo delle azioni si valuta dalla sopravvivenza delle comunità educanti

Quanto è efficace la lotta alla dispersione scolastica? Insieme a tanti key performance indicators e alla riduzione del numero di Neet, è fondamentale valutare la sopravvivenza di quelle comunità educanti che oggi stanno nascendo. «Solo i progetti che a due anni dalla conclusione mostreranno di avere promosso comunità educanti vitali potranno essere considerati di successo»

di Stefano Piziali

Fin dal 2013 WeWorld ha promosso una rete nazionale – FREQUENZA200 – che riunisce soggetti del terzo settore (associazioni, fondazioni, cooperative sociali) impegnati da anni nei loro territori contro la dispersione scolastica. Un fenomeno che vede l’Italia sempre in fondo alle classifiche europee, anche se in lento, ma costante miglioramento.
Uno dei principi ispiratori della rete è l’alleanza tra scuole, terzo settore e territori (enti locali, operatori economici, servizi pubblici, famiglie), per costituire una comunità educante che si prefigga di includere i bambini e le bambine, che per mille ragioni (sociali, economiche, personali, culturali) faticano a completare il loro percorso scolastico acquisendo le competenze necessarie per affrontare la vita adulta. Che di tale comunità educante ci sia bisogno, tanto nelle periferie delle grandi città, quanto nelle zone rurali, dell’intera penisola, è confermato da un paio di dati che misurano la condizione dei giovani italiani da tra i 20 ed 30 anni. L’Italia ospita uno tra più numerosi gruppi di NEET dell’intero continente (oltre 2,6 milioni di giovani tra i 15-29 che non studiano non lavorano e non si formano) ed uno dei più bassi tra i laureati (solo 1 cittadino su 4). Questi due dati sono la conseguenza di un percorso educativo che, specie nella scuola secondaria (di primo e secondo grado), si mostra critico e scarsamente inclusivo.

Ma qualcosa sta cambiando. Dopo decenni di interventi sporadici, affidati alla legge 285 (che comunque indirizzava risorse pubbliche solo verso alcune città metropolitane), già con le risorse europee del Piano Operativo Nazionale gestito dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR) 2007-2013, si sono progettati interventi in profondità nelle zone più colpite dalla povertà educativa (le regioni insulari e del Mezzogiorno). Tale intervento è ora amplificato dal nuovo PON 2014-2020, che riguarda tutto il territorio nazionale, con una serie di azioni che vanno dall’orientamento, al contrasto alla dispersione scolastica, alla formazione di competenze digitali, alla educazione alla cittadinanza globale ed altre ancora. Infine il Governo, in accordo con le Fondazioni bancarie, ha dato vita al Fondo per il contrasto alla povertà educativa, affidato alla gestione dell’impresa sociale CON I BAMBINI, che ha come obiettivo «il sostegno a interventi sperimentali finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori».

In tutti questi programmi gli interventi sono condotti da reti di scuole ed attori del terzo settore in alleanza con i territori. Si tratta di una criterio fondamentale, per dare stabilità a progettualità che altrimenti rischierebbero di essere effimere e non in grado di incidere sui fattori intra ed extra scolastici, che sono alla base della povertà educativa, tra cui: povertà minorile, emarginazione, povertà economica e culturale, contesti sociali poco inclusivi (se non proni alla micro e macro criminalità) e, nel caso delle giovani generazioni di migranti, che nelle scuole del Nord Italia costituiscono ormai il 20% della popolazione scolastica, carenze linguistiche. A rafforzare tali alleanze, votate alla promozione di Comunità educanti, possono concorrere anche forme di collaborazione più tecniche tra attori del terzo settore ed istituzioni, come il Protocollo firmato nelle scorse settimane tra MIUR e WeWorld. Un accordo che per un arco temporale abbastanza ampio (tre anni) consentirà ad entrambi gli attori di cooperare per condividere modalità di intervento per contrastare la dispersione scolastica, valutare l’efficacia e l’impatto sociale degli interventi, identificare parametri di successo per la crescita della qualità complessiva delle azioni congiunte di scuole e terzo settore; favorire una educazione più inclusiva attraverso metodologie innovative, quali ad esempio il “dibattito scolastico”.

Questi nuovi programmi hanno tutti in comune una cosa: richiedo una valutazione approfondita. Al di là delle tecniche specifiche per valutare sia i programmi sia i singoli progetti, due elementi andranno tenuti presente quando, tra qualche anno, si andranno a valutare le azioni messe in campo dagli attori citati (MIUR, Scuole, Terzo settore, Fondazioni Bancarie etc.). Da un lato si dovrà tenere conto di alcuni key performance indicators relativi alle singole azioni (e su questo punto VITA ha già ospitato alcuni interessanti contributi). Tuttavia ci dovrà essere anche la consapevolezza che gli effetti, o impatti, a lungo termine, saranno quelli veramente decisivi per giudicare della bontà del lavoro fatto. Sarà insomma importante vedere se si modificheranno o meno le due tendenze negative menzionate all’inizio: l’elevato numero di Neet e il basso numero di laureati. Ci vorrà del tempo, circa dieci anni da oggi.

Ecco quindi che un secondo elemento potrebbe invece facilitare la valutazione precoce delle azioni che si stanno avviando. Bisognerà verificare non tanto la modifica degli effetti a lungo termine della povertà educativa, ma la sopravvivenza o meno dei vari modelli di comunità educanti sperimentati. Saranno Comunità dotate di una propria identità istituzionale, con un proprio modus operandi adatto ai propri specifici territori, sostenute da nuove figure professionali (es. i community workers), alimentate anche da risorse umane e economiche volontarie, oppure non sopravvivranno alla conclusione dei programmi che ora si stanno avviando? Questo sembra il punto a cui ogni i valutazione dovrà guardare con attenzione. Solo i progetti che a due anni dalla conclusione mostreranno di avere promosso Comunità educanti vitali potranno essere considerati di successo.

*Stefano Piziali, Head of Advocacy & Italian Programs Dept, WeWorld Onlus


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