Cooperazione & Relazioni internazionali

Tutti a tifare l’Integrazione football club

A Fano una squadra di ragazzi profughi, la Castelvecchio Fc, è stata iscritta a un campionato di calcio a cinque del Centro Sportivo Italiano. In rosa ragazzi che vengono da Nigeria, Gambia, Ghana, Costa d’Avorio e Camerun

di Diletta Grella

Sono le otto del mattino. Michele arriva con il pulmino davanti ad un centro di accoglienza alla periferia di Fano e suona il clacson: «Siete pronti, ragazzi?». Jean si affaccia alla finestra: «J’arrive!». Deve solo infilarsi le scarpe: del resto, per una giovane promessa del calcio camerunense come lui, gli allenamenti settimanali sono un momento da non perdere. Touré, che è arrivato in Italia con la moglie incinta e che ha una splendida bambina di due mesi, infila una felpa rossa e invita i più pigri a sbrigarsi. Come Samer, che starebbe volentieri a letto una mezz’oretta in più, «perché il calcio, sì, mi piace, ma il mio vero sogno è diventare parrucchiere».

Jean, Toure e Samer sono alcuni dei ragazzi ospiti delle case della cooperativa sociale Labirinto, coinvolti in un campionato di calcio a cinque, organizzato dal comitato provinciale del Csi (Centro sportivo italiano) di Pesaro Urbino, che ha sede a Fano.

«Nelle nostre case accogliamo molti ragazzi immigrati provenienti dall’Africa» spiega Michele Montanari, operatore della cooperativa Labirinto. «L’anno scorso, alcuni mi hanno chiesto di giocare a calcio, così ho contattato via mail il Csi provinciale: i responsabili hanno colto al volo la mia proposta e nel giro di qualche settimana i ragazzi sono scesi in campo».

«Quando ho letto la mail di Michele, mi sono dato subito da fare, insieme agli altri membri del comitato», spiega Marco Pagnetti, presidente provinciale del Csi. «Del resto il Csi promuove lo sport, su tutto il territorio nazionale, come momento di educazione e di integrazione, partendo da una visione cristiana dell’uomo e della realtà. Quale migliore occasione per mettere in pratica i valori alla base della nostra associazione? Abbiamo quindi costituito una squadra, la Castelvecchio Fc, formata sia dai giovani profughi residenti in alcune case gestite dalla cooperativa Labirinto, sia da ragazzi di Fano. E abbiamo iscritto questa squadra al campionato di calcio a cinque, che si tiene ormai da molti anni a Fano, da gennaio a giugno. Siamo partiti all’inizio del 2016 e le squadre coinvolte quest’anno sono otto.

«All’inizio c’era un po’ di diffidenza», continua Michele. «Qualcuno, tra i giocatori e gli spettatori, storceva un po’ il naso o faceva battute poco simpatiche. Ma, superata la diffidenza iniziale, gli effetti positivi di questa iniziativa sono stati notevoli. Innanzitutto si tratta di un’importante occasione di integrazione: attraverso il calcio, i giovani immigrati hanno la possibilità di conoscere i loro coetanei di Fano, di confrontarsi con loro alla pari, di sentirsi meno so- li… Il gioco, poi, è anche uno strumento per divertirsi, per mettersi alla prova, per migliorare le proprie abilità sportive, per stare nelle regole. E ancora, è un’occasione per sfogarsi, per tirare fuori tensioni e sofferenze».

Tutti questi ragazzi, infatti, hanno al- le spalle storie di grande dolore. Tra il 2016 e il 2017 gli immigrati che hanno giocato nella squadra Castelvecchio Fc, alternandosi, sono una quarantina e nel frattempo alcuni di loro hanno ricevuto l’asilo politico e trovato un lavoro. Vengono da Nigeria, Gambia, Ghana, Costa d’Avorio e Camerun.

Alexander di anni ne ha 25 ed è arrivato qualche mese fa, dopo aver lasciato la sua terra d’origine, la Nigeria: «Alcune persone mi perseguitavano per motivi religiosi, così sono fuggito», spiega. «No, non voglio raccontare il viaggio in mare, né il periodo che ho trascorso in Libia. È stata un’esperienza terribile. Dopo quello che ho passato, il calcio per me è una medicina».

«Il Camerun è un paese complesso, ho ricevuto minacce di morte e così sono fuggito in Italia con mia moglie», gli fa eco Jean, 27 anni. «Il calcio è sempre stata la mia passione, qualche anno fa avevo iniziato le selezioni per entrare nella squadra nazionale, ma per proseguire servivano troppi soldi. Durante il terribile viaggio che mi ha portato a Trapani, dove sono sbarcato lo scorso ottobre, il calcio era il motivo che mi spingeva a resistere. Sogno di giocare a calcio a livello professionale nel vostro Paese. Come Buffon, Cannavaro, Del Piero». E qui ci scappa un sorriso bianchissimo…

«Dobbiamo ringraziare il Csi, perché attraverso questo campionato sta restituendo ai ragazzi la loro gioventù; sta permettendo loro di essere quello che sono: dei ragazzi come tutti gli altri», spiega Roberta Savelli, coordinatrice dei centri di accoglienza dei migranti per la cooperativa Labirinto.

Nella squadra degli immigrati, giocano anche sei ragazzi originari di Fano, come Luca, che racconta: «Molti si riempiono la bocca con la parola “accoglienza”, ma pochi la vivono in prima persona. Così, quando mi hanno proposto di giocare insieme a questi richiedenti asilo, ho detto di sì».

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La partecipazione al campionato, è possibile perché il Csi provinciale pa- ga le quote associative dei ragazzi e l’af- filiazione della squadra. Il negozio Pro- di Sport di Fano ha dato divise e scarpe ad un prezzo di costo, sostenuto grazie al contributo del Comune di Fano e del- la Regione Marche, che pagano anche l’affitto dei campi.

«Lo sport non è un semplice svago. Può diventare uno strumento di integrazione e questo progetto lo sta dimostrando», concludono Marco e Michele.


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