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Tremonti: «Adesso serve un 10 per mille»

Del 5 per mille, l’ex ministro è stato l’ideologo e il promotore. Dopo dieci anni di edizioni “certificate”, sulle pagine del magazine di Aprile, si dice assolutamente convinto che si sia trattato «di un grande successo: i numeri testimoniano che il principio della disintermediazione fiscale è uno strumento che produce risultati che sono sotto gli occhi di tutti». E ora è arrivato il momento di raddoppiare

di Redazione

Del 5 per mille, il professor Giulio Tremonti è stato l’ideologo e il promotore (da ministro dell’Economia e vicepresidente del Consiglio lo fece approvare in via sperimentale con la finanziaria del 2006). Come ricostruisce in questo dialogo con Vita «era il settembre del 2005 e Domenico Siniscalco, che allora risiedeva a Palazzo delle Finanze, non riusciva a chiudere la Finanziaria. Così ci dovetti pensare io. E ci infilai anche il 5 per mille (commi 337-340 della legge 266 del 23 dicembre 2005)». L’idea però era già matura da qualche mese. L’outing risaliva infatti al 29 marzo del 2004. Quando all’università Cattolica alla presenza degli allora arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi e del rettore (nonché presidente dell’Agenzia per le Onlus) Lorenzo Ornaghi, dichiarò: «Il non profit è un universo meritevole di deduzione fiscale, svolge un ruolo centrale nella vita civile e va sostenuto affinché possa consolidarlo».

Dare di più, attivare per esempio un nuovo otto per mille a favore del volontariato non sarebbe un costo, ma un investimento. Non una spesa, ma un risparmio

Una discesa in campo che divenne pubblica attraverso le pagine del Corriere della Sera che il 9 novembre pubblicò quello che oggi Tremonti definisce come il manifesto del 5 per mille (che nella sua prima ipotesi doveva essere “un nuovo 8 per mille”). Scriveva allora l’economista valtellinese: «Il primo settore (il privato) finanzia il secondo settore (lo Stato) con grande sforzo: con la metà circa del suo prodotto. Il secondo settore riserva invece e trasferisce al Terzo settore solo le briciole di quel che riceve. Dare così poco, date le enormi potenzialità del Terzo settore è un errore». Ne consegue che «dare di più, attivare per esempio un nuovo otto per mille a favore del volontariato non sarebbe un costo, ma un investimento. Non una spesa, ma un risparmio».

«Parole», interviene Tremonti dal suo ufficio milanese, «che oggi sottoscrivo in toto». A quell’articolo seguirono prima una proposta di legge, presentata il 25 gennaio 2005, e quindi l’istituzione della sperimentazione attraverso la successiva legge di Bilancio. A 12 anni da quell’iniziativa e dieci edizioni “certificate” di 5 per mille Tremonti è assolutamente convinto che si sia trattato «di un grande successo: i numeri testimoniano che il principio della disintermediazione fiscale è uno strumento che produce risultati che sono sotto gli occhi di tutti». E adesso? «Occorre rilanciare. Il 5 per mille debitamente rivisto e aggiornato deve diventare più grande: un 10 per mille. Impedire il passaggio del gettito fiscale attraverso gli uffici pubblici significa risparmiare e guadagnare in tempo e risorse, tutto a giovamento anche delle casse pubbliche».

Il principio cardine è quello del manifesto pubblicato sul Corriere. Rileggiamo, allora: «Il circuito politico finanziario non può restare artificialmente tutto centrale. In parallelo alla realtà sociale, può essere disegnata una nuova architettura fiscale e perciò politica, disintermediando lo Stato, andando oltre il classico “no taxation without representation”». E ancora: «Per una società che è sempre più matura e sempre più direttamente coinvolta nel sociale non è infatti più solo questione di controllo democratico sul livello di tassazione, ma anche questione di un suo crescente e più diretto coinvolgimento nelle scelte di destinazione e di gestione delle risorse pubbliche, fuori dal calderone del bilancio pubblico».

Occorre rilanciare. Il 5 per mille debitamente rivisto e aggiornato deve diventare più grande: un 10 per mille

Nel frattempo però il dibattito sulle politiche fiscali di questo Paese ha preso altre strade. La cronaca rimanda alla recente flat tax a 100mila euro per i Paperoni stranieri licenziata dal governo Gentiloni. Una trovata che arriva da sinistra («un’operazione da cialtroni che prova a rubare qualche gettito ai vicini europei, briciole che ci faranno perdere l’autorità morale per tirare le orecchie a Paesi che fanno questo di mestiere», commenta velenoso l’ex ministro di Berlusconi).
Non che da destra però il tema della sussidiarietà fiscale sia diventato una bandiera. Tutt’altro: anche su questo fronte il silenzio è assoluto. «Renzi in questo momento ha occupato tutto il campo e gli altri non riescono ad uscire dallo spartito», sentenzia il professore. «Ma l’ho detto e lo ripeto», conclude, «la discriminante vera non è fra destra e sinistra, ma fra nuovo e vecchio». E un 5 per mille versione large ricade per natura nel perimetro del nuovo.


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