Cooperazione & Relazioni internazionali

Care Ong, rispondete insieme

Un famoso pubblicitario indignato per lo sciacallaggio mediatico nei confronti delle organizzazioni non governative, suggerisce una strategia: «Ci vuole una risposta sensazionale e inedita, nella consapevolezza che siamo tutti sulla stessa barca»

di Paolo Iabichino

È una brutta storia quella delle Ong che sarebbero colluse con i trafficanti di uomini nel nostro Mediterraneo. È una storia che i bravi giornalisti hanno già stigmatizzato, io scrivo solo pubblicità e sono più abituato a leggere le dinamiche della comunicazione. E quindi vedo lo sciacallaggio mediatico di Salvini, la strumentalizzazione servile di Di Maio, l’incoscienza di un procuratore, un procuratore della Repubblica Italiana, che millanta senza avere le prove, neanche fosse un redivivo Pasolini che negli anni settanta scriveva quel leggendario articolo “io so”. Ma non aveva le prove e neanche un indizio. «Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede…»

Ma lui era un uomo di lettere, non di legge. E se la storia ci ha consegnato quel bel pezzo di giornalismo significa che all’artista si può perdonare il sospetto non suffragato, alla legge no. Soprattutto se questa vicenda ignobile viene alla luce, e viene selvaggiamente foraggiata dal veleno politico, alla vigilia della dichiarazione dei redditi in cui ciascuno di noi decide cosa fare del proprio cinque per mille. Quel 5 per mille che porta nelle casse delle diverse Ong buona parte dei finanziamenti che servono a sostenere la propria attività. Da un punto di vista di reputazione, consenso e immagine, il danno creato da questa vicenda è irreparabile. Moltissime di queste organizzazioni verranno penalizzate da questa entropia mediatica e per alcune di loro sarà davvero complicato rimettersi in sesto.

So poco di giornalismo, niente di giurisprudenza, ma so qualcosa di comunicazione e temo per il lavoro delle Ong nei prossimi anni, non solo di quelle impegnate sul fronte dell’emergenza nel Mare Mediterraneo, ma di tutte quelle che hanno a che fare con l’accoglienza e il sostegno ai migranti, già colpite da alcuni fatti di cronaca e adesso definitivamente spiazzate da quella che sembra essere a tutti gli effetti una di quelle fake-news che tanto piacciono agli uomini che “parlano alla pancia”. E allora bisogna parlare al cuore: mi sono permesso di andare sopra la celebre immagine premiata al World Press Photo di un paio di anni fa.

Ci sono andato sopra con un messaggio che prova a sensibilizzare sul tema della migrazione, con una metafora d’inclusione, affinché ciascuno possa sentire la responsabilità di queste tragedie. Noi siamo tutti sulla stessa barca, cittadini dell’Europa Unita, modello di accoglienza, crocevia di popoli e culture, eppure incapace di presidiare l’emergenza con gli strumenti della politica, dell’economia e della sicurezza.

Questa è la verità. Quella vera. Non quella di Di Maio e Salvini. Noi siamo tutti sulla stessa barca, perché non sappiamo come arginare il fenomeno. Ci appelliamo all’obbligo della solidarietà, perché questi individui sono in fuga da guerre e carestie, non è una nuova forma di turismo estremo.

Ma soprattutto, adesso, su quella barca ci sono anche tutte le Ong colpite a morte dai protagonisti di questa brutta storia. E noi con loro. Perché mentre “il popolo del web” (ahimè) guarda la pagliuzza di chi gestisce il canale twitter di Unicef che neanche Morandi e Mentana potrebbero tanto, non vede la trave che si sta abbattendo come una mannaia sulla testa di moltissime delle nostre organizzazioni umanitarie.

Noi siamo tutti sulla stessa barca. Perché mi piacerebbe che Emergency, Medici Senza Frontiere, Save The Children, la stessa Unicef e tutte le Ong impegnate sul fronte della migrazione rispondessero in maniera corale e unita a questa minaccia mediatica. Ho già visto in giro le loro pubblicità per la raccolta del 5 per mille e mi sono interrogato sull’effetto che avranno in questo particolare contesto di comunicazione. Ché quando si fa la pubblicità il contesto è tutto. Ma questo è un altro discorso. Vorrei finalmente leggere la verità sui nostri giornali. E subito dopo l’articolo vedere una pagina in cui tutte le Ong, tutte insieme, firmano una comunicazione in cui dichiarano che sono tutte sulla stessa barca. Loro sì possono dirlo, non con la retorica metaforica della pubblicità, ma con la forza del significante letterale.

Perché loro ci sono davvero su quei barconi e casomai, metaforicamente, sono sulla stessa barca della gogna mediatica che potrebbe affondarli e questo non servirà a fermare l’esodo degli ultimi verso le nostre coste. E allora dovrebbero tutte insieme reclamare il cinque per mille che le sostiene, in un’unica pagina, con tutti i marchi insieme, per una volta, senza farsi l’inevitabile concorrenza che il periodo richiede. Poi ciascuno di noi devolverà il proprio contributo a chi desidera, ma è bello pensare che di fronte a un caso così drammatico ci possa essere una risposta sensazionale, inedita, perché forse la verità può volare più in alto degli avvoltoi.

@Iabicus


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