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Cyberbullismo: cosa serve per attuare subito la legge

Ivano Zoppi ha visto nascere la legge, incontrando tantissimi ragazzi nelle scuole insieme al papà di Carolina Picchio, a cui la legge è dedicata: «Occorre da un lato che il mondo adulto ritorni a esercitare la propria responsabilità educativa e, dall’altro, che i giovani crescano rieducati all’empatia e conoscendo bene i rischi della Rete»

di Ivano Zoppi

Una lunga gestazione, durata oltre tre anni, ma la legge nazionale sul cyberbullismo è stata approvata alla Camera all’unanimità il 17 maggio. Il percorso era iniziato nel 2013 con la prima vittima accertata di cyberbullismo: nella notte tra il 4 e il 5 gennaio Carolina, 14 anni, si lancia dal balcone di casa. Nella sua lettera d’addio, che negli anni è diventata il simbolo della lotta all’indifferenza contro il bullismo, Carolina scrive che «le parole fanno più male delle botte» e denuncia uno a uno i ragazzi artefici di questa vicenda dall’epilogo triste, eppure, oggi, straordinario.

Straordinario perché Carolina è una ragazza forte e lo dimostra anche nel suo gesto estremo, decisa a far emergere la verità. Da quel giorno il papà di Carolina, Paolo, raccoglie le sue forze e reagisce con la stessa determinazione: impegnarsi affinché non ci possano più essere vittime di questo assurdo fenomeno che dilaga tra i giovani. La prima ad accogliere questo progetto è la Senatrice Elena Ferrara, che di Carolina era stata l’insegnante di musica. È la Ferrara a scrivere e presentare come prima firmataria il DDL “Disposizione a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. Finalmente oggi la legge c’è e ha messo tutti d’accordo, anche chi l’aveva in parte modificata perdendo di vista i minori: sono loro infatti il punto focale.

Noi abbiamo visto la nascita di questo documento lavorando con il papà di Carolina, andando insieme a parlare ai ragazzi nelle scuole. La legge così come è stata approvata è tornata al suo stato originario: a favore dei ragazzi, della formazione continua necessaria rivolta a loro e a tutti gli educatori che li accompagnano, nella direzione educativa e non punitiva. Anche il bullo è una vittima e deve essere aiutato a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni. Il senso dell’ammonimento del questore va in questa direzione: l’autore, che spesso non riconosce la gravità del gesto o del comportamento, va seguito e responsabilizzato. Comparendo con un genitore davanti alle forze dell’ordine lo induce pensare prima di agire, a capire che le conseguenze hanno un peso. Anche per i genitori che sono chiamati amministrativamente a risponderne.

Un altro aspetto importante è la formazione. Serve una scuola preparata, informata. Pepita Onlus siede al Tavolo Interistituzionale attivato dall’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia per far convergere e creare percorsi efficaci di formazione dei docenti e dei ragazzi per un uso corretto dei social network. Il referente scolastico per il bullismo è un punto fondamentale: deve saper riconoscere e trattare il problema con competenze precise.

Ora che la legge c’è, va attuata. Questo richiede una gestione oculata dei fondi, la capacità di riprodurre su scala nazionale modelli virtuosi di collaborazione tra scuola, genitori, ragazzi, istruttori, educatori, forze dell’ordine e tutte le agenzie educative che gravitano intorno a un adolescente. In estrema sintesi, occorre da un lato che il mondo adulto ritorni a esercitare la propria responsabilità educativa e, dall’altro, che i giovani crescano rieducati all’empatia e conoscendo bene i rischi della Rete.

*Ivano Zoppi, presidente di Pepita Onlus
Foto Bruno Gomiero, Unsplash


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