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Da nord a sud carcere fa rima con teatro

Sono 83 in Italia, secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia, le compagnie che conducono o hanno condotto laboratori teatrali in carcere. Da Gorizia a Catania, da Vigevano a Palermo, dietro le sbarre si allestiscono spettacoli come pratica formativa innovativa

di Mara Cinquepalmi

Sono 83 in Italia, secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia, le compagnie che conducono o hanno condotto laboratori teatrali in carcere. Da Gorizia a Catania, da Vigevano a Palermo, dietro le sbarre si allestiscono spettacoli come pratica formativa innovativa.https://infogr.am/carcere_teatro_genere

L’arte è la prima forma di libertà. A volte l’unica. Queste parole accompagnano il trailer di Cesare deve morire, il film realizzato da Paolo e Vittorio Taviani nel 2012, Orso d’oro a Berlino, che narra la messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare da parte dei detenuti di Rebibbia con la regia di Fabio Cavalli. Il prossimo 30 ottobre Cavalli dirigerà Hamlet in Rebibbia, che sarà trasmesso in live streaming full-HD con il Teatro Studio del Parco della Musica e con i teatri e i cinema di Genova, Milano, Monza, Cagliari, Nuoro, Napoli e altre città.

«Nel 2015 – racconta a Vita Fabio Cavalli – siamo riusciti ad avere la banda larga nel teatro di Rebibbia per portare all’esterno le immagini in Hd. Poi il debutto il 6 aprile 2016, quando ci siamo collegati con l’Aula Magna della Sapienza per un incontro su Shakespeare con gli studenti. Quest’esperienza è insieme cinema, tv, teatro e corre sul web. In altri paesi si fa normalmente».

L’idea dello streaming è nata quando, dopo il successo del film dei Taviani, Cavalli ha continuato questa sua esperienza ponendosi, però, il problema di come portare in giro gli spettacoli realizzati con i detenuti del reparto Alta sicurezza.

Il teatro in carcere è un modo per crescere, per confrontarsi. «In quindici anni di attività – spiega Cavalli – ho analizzato 608 casi e il tasso di recidiva non supera il 10% contro il 68,5 della media nazionale, anche se va tenuto conto che chi fa teatro chiede di farlo e che sconta pene lunghe. Mancano, però, statistiche ufficiali sulla recidiva e per questo spero che prima o poi si proceda con uno studio statistico serio che definisca meglio il fenomeno».

Teatro è comunicazione, anche quando si fa dietro le sbarre. «Il teatro in carcere ha una sua specificità – racconta il regista Horacio Czertok del Teatro Nucleo che dal 2005 cura i laboratori nel carcere di Ferrara – perché è una realtà sconosciuta ai più e occorre costruire un dialogo con la struttura e le persone. Facendo teatro, però, si fa comunità e la prima cosa che ci chiedono i detenuti quando iniziano a frequentare il laboratorio è riconquistare dignità e rispetto».

L’Emilia-Romagna può contare su una consolidata tradizione di esperienze teatrali in carcere tanto che lo scorso ottobre la Regione ha firmato una nuova intesa, valida fino al 2019, che vede coinvolte oltre la Regione, l’Amministrazione penitenziaria dell’Emilia-Romagna, il coordinamento Teatro Carcere e, per la prima volta, il Centro per la giustizia minorile dell’Emilia Romagna e Marche. La Regione ha anche aumentato lo stanziamento di fondi per sostenere le attività previste dal protocollo, portandolo dai 30 mila euro previsti negli scorsi anni a 50 mila euro. Oltre a favorire lo sviluppo delle attività teatrali in carcere il protocollo prevede la realizzazione di percorsi formativi (tecnico luci, macchinista teatrale, falegname, sarto per i costumi) in grado di offrire ai detenuti l’opportunità di apprendere un mestiere teatrale spendibile per il loro reinserimento sociale.

Nel carcere di Milano Bollate c’è un teatro che contiene fino a 150 spettatori. Qui a salire sul palcoscenico è la compagnia formata da attori detenuti e non grazie al progetto Teatro In-Stabile della Cooperativa e.s.t.i.a..

«Le produzioni – spiega Michelina Capato, regista e presidente della cooperativa – nascono da chiacchierate informali nel gruppo. Due volte a settimana c’è il laboratorio e nei momenti di pausa si discute. Insieme a Renato Gabrielli, drammaturgo, cerchiamo di restituire il tema più urgente da affrontare. Ad esempio, l’ultimo è sulle migrazioni. Qui chi fa teatro ha una recidiva del 6%, ma il risultato è frutto di un certo modo di lavorare».

Hanno lavorato, invece, sull’affettività i detenuti del carcere di Torino. Con METÀ – Meditazioni sul Cantico dei Cantici il regista Claudio Montagna ha realizzato una rappresentazione esclusivamente ispirata ai temi dell’affettività in carcere e, in particolare, degli affetti familiari e coniugali. «Donne e uomini detenuti hanno messo in scena quei sentimenti che li toccano con grande forza, ma per i quali soffrono privazioni e lontananze – racconta Montagna – Perdere l’altra metà, chiunque essa sia, genitori, figli, amici, amori, “dimezza” nell’anima e forse nel corpo».


METÀ – Meditazioni sul Cantico dei Cantici è stato allestito da un gruppo di quattordici detenuti del Padiglione A della Casa Circondariale Lorusso Cutugno di Torino, che partecipano al laboratorio teatrale avviato a settembre da Franco Carapelle di Teatro e Società. Al loro fianco sul palco, per la prima volta, otto donne della sezione femminile del laboratorio di canto e recitazione corale.

Parole, emozioni e gesti delle numerose esperienze teatrali in carcere saranno protagoniste a novembre della quarta rassegna nazionale di teatro in carcere "Destini Incrociati", promossa dal Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere e dal Ministero di Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.


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