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Europa, arriva il benchmark per il sociale: Italia in ritardo

La commissione lancia il social scoreboard. Pagella negativa per il nostro Paese. Preoccupante soprattutto lo scarso impatto sociale delle politiche di supporto, che incidono solo al 5.5% nella riduzione della povertà a fronte dell’efficacia di trasferimenti sociali effettuati in altri paesi come l’Irlanda, in cui l’impatto è di quasi il 20%.

di Anita Alfonsi

Con la proposta del Pilastro europeo dei diritti sociali, la Commissione europea ha recentemente adottato il quadro di valutazione della situazione sociale (social scoreboard), lo strumento di riferimento per monitorare il progresso dei Paesi europei nell’implementazione dei diritti sociali.

Creato e aggiornato periodicamente dal centro di ricerca della Commissione europea, lo Joint Research Centre, lo scoreboard provvede ad un benchmarking e un’analisi comparata dei risultati.

I dati misurano la performance dei diversi Paesi europei in 12 aree raggruppate in tre aree tematiche: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, dinamicità dello stesso ed eque condizioni di lavoro, supporto pubblico all’inclusione e la protezione sociale. Gli indicatori provengono dalle diverse banche dati di Eurostat e OCSE e saranno la base per l’elaborazione dell’analisi annuale sull’occupazione, che la Commissione invia ogni autunno ai singoli Paesi e che rappresenta il passo antecedente le raccomandazioni specifiche per Paese, nell’ambito del Semestre europeo.

Lo scoreboard appena pubblicato e relativo al 2016 non restituisce un quadro positivo dell’Italia.

Nell’analisi delle opportunità e accesso al mercato del lavoro, i parametri utilizzati sono il livello di educazione e training, misurato attraverso la percentuale di abbandono dell’educazione e della formazione professionale. In Italia il numero di persone tra i 18 e i 24 anni che ha ottenuto un diploma di scuola secondaria e non continua il percorso di formazione è pari al 14.1%, sopra la media europea (10.8%). Peggio dell’Italia sono solo la Spagna, Malta e la Romania.

Per quanto riguarda la parità di genere in rapporto all’occupazione, l’Italia si attesta al 20%. Tale percentuale indica la discrepanza tra il numero di donne e il numero di uomini impiegati. Il nostro Paese è secondo solo a Malta, in cui la forbice è del 27.8%. È lontano anni luce dalla Finlandia, con la più bassa percentuale (2.1%), ma anche dalla media europea (11.6%).

La distribuzione della ricchezza non fa registrare risultati migliori. Peggio dell’Italia ci sono la Romania, la Lituania, la Bulgaria, la Spagna, la Grecia, la Lettonia, l’Estonia e il Portogallo.

Il 26.7% della popolazione italiana è a rischio povertà, secondo la definizione di povertà ed esclusione sociale data dalla Commissione europea

Inoltre, il 26.7% della popolazione italiana è a rischio povertà, secondo la definizione di povertà ed esclusione sociale data dalla Commissione europea, una percentuale nota a chi lavora nel campo del sociale, ma che risulta più lampante se si mette a confronto con quella degli altri Stati europei: solo la popolazione della Bulgaria, Romania, Grecia, Lettonia, Lituania, Croazia e Cipro registra un numero maggiore di persone a rischio povertà ed esclusione sociale.

Scarso è l’impatto delle politiche di aiuto sociale per questo segmento di popolazione. Esse incidono solo al 5.5% nella riduzione della povertà a fronte dell’efficacia di trasferimenti sociali effettuati in altri paesi come l’Irlanda, in cui l’impatto è di quasi il 20%.

Il quadro diventa pessimo quando si guardano i dati sull’ occupazione. E’ da un pezzo che si parla dell’Italia come il paese europeo con la percentuale maggiore di giovani che non lavorano e che non sono all’interno di un percorso formativo. I dati confermano ancora questa tendenza all’immobilità da parte della popolazione giovanile sia sul fronte lavorativo che educativo.

Allo stesso tempo la percentuale degli occupati tra i 20 e 64 anni ci mette davanti solo alla Grecia. Il tasso di disoccupati tra i 15 e i 74 anni, calcolato sulla forza lavoro totale, è dell’11.7%, in lieve diminuzione rispetto al 2015, ma assolutamente peggiore di tutti gli altri Paesi europei, eccetto Grecia, Spagna, Croazia, Cipro e Portogallo.

Il reddito disponibile per famiglia in Italia è fra i più bassi d’Europa ed è diminuito rispetto al 2008. Solo Grecia e Cipro hanno un reddito lordo minore.

A completare il quadro si aggiunge il fatto che il reddito disponibile per famiglia è fra i più bassi d’Europa ed è diminuito rispetto al 2008. Solo Grecia e Cipro hanno un reddito lordo minore.

La retribuzione oraria si attesta leggermente sotto la media europea a 22.6 euro l’ora e sotto la media dell’eurozona, di 26.2 euro.

Per quanto riguarda l’infanzia, il 27.3% dei bambini sotto i tre anni sono affidati alle cure formali, un dato che si attesta sotto la media europea e forse interpretabile in relazione anche alla percentuale di persone occupate nel nostro Paese.

Il 7.2% della popolazione europea esprime difficoltà nell’accedere alle cure sanitarie, o per motivi finanziari o per costrizioni geografiche o per le lunghe liste di attesa

Dando uno sguardo ai dati relativi alla sanità emerge che il 7.2% della popolazione esprime difficoltà nell’accedere alle cure sanitarie, o per motivi finanziari o per costrizioni geografiche o per le lunghe liste di attesa. Solo paesi come l’Estonia, la Grecia, la Romania, la Lettonia e la Polonia dichiarano in maggior numero che il loro sistema sanitario non soddisfa le loro esigenze.

Infine per quanto riguarda l’accesso digitale, si prende come misura la percentuale di persone tra i 16 e i 74 anni con competenze digitali di base. Ebbene anche in questo l’Italia offre uno dei peggiori risultati: il 43% della popolazione non è dotato di competenze digitali basilari. Questo dato fa riflettere se si pensa che siamo sempre più orientati verso una “economia della conoscenza” e che, in questo scenario, tutte le politiche che introducono ogni possibile variante del concetto di tecnologia sono solo un esercizio stilistico o una moda passeggera, se non si affronta il problema dell’educazione e se la questione dell’accesso digitale non viene considerato in termini di accesso educativo.

Nessuno degli indicatori dello scoreboard offre dati positivi e che occorre che il Pilastro dei diritti sociali sia davvero preso in considerazione a livello nazionale affinché sia un ulteriore strumento per migliorare le politiche sociali in Italia, poco importa che si creda nel modello europeo oppure no.


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