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Affinati: Il papa a Barbiana, un sogno che si avvera

Lo scrittore, autore di un libro di grande successo e fascino su don Milani, spiega l’importanza del gesto di Francesco: «Si tratta di un gesto straordinario: allo stesso tempo un risarcimento e una legittimazione»

di Giuseppe Frangi

Chi lo avrebbe immaginato quel 26 giugno di 50 anni fa che un giorno un papa sarebbe salito tra le poche case di Barbiana per rendere omaggio a don Lorenzo Milani? Oggi quella cosa del inimmaginabile invece diventa realtà, grazie anche al fatto che il papa venuto dall’altro mondo si ritiene quasi allievo adottivo del priore. È un suo accanito lettore conoscitore, ma più ancora ammira e si dice molto colpito colpito dalla sua fede. La giornata di papa Francesco prevede anche una tappa sulle tracce di un altro grande prete che si portava addosso “l’odor delle pecore”: don Primo Mazzolari. A Bozzolo di prima mattina pregherà sulla sua tomba. Poi di nuovo in volo per arrivare a Barbiana. Che valore ha una visita come questa? Lo abbiamo chiesto ad Eraldo Affinati, scrittore, insegnante, autore di un libro a metà tra la testimonianza e la biografia sul priore: Don Milani l’uomo del futuro


Un Papa a Barbiana. Te lo saresti mai aspettato?
È un sogno che si avvera. Da questo Papa c’era da attenderselo. Si tratta di un gesto straordinario: allo stesso tempo un risarcimento e una legittimazione. Credo rappresenti una svolta all’interno della Chiesa: implicitamente è una mano sulle spalle di tanti preti che, fuori dal cono di luce dei riflettori, operano nella medesima linea del priore di Barbiana. Io lo considero anche un invito rivolto a ogni educatore, a ogni persona che lavora nel sociale: non dovete sentirvi mai soli, siete sulla strada giusta, anche se non bisogna illudersi che sia priva di ostacoli.

«La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni». È una frase che Francesco ha ripreso nel suo videomessaggio ad aprile, in occasione di Tempo di libri. In che termini la scuola può insegnare a capire la realtà?
La scuola è l’intensificazione della realtà. Negli occhi dei ragazzi puoi trovare i tre tempi: il passato dei loro genitori, il presente della tua azione educativa e il futuro: cioè quello che loro potranno diventare insieme a te. L’insegnante consegna il testimone, conosce se stesso attraverso gli altri, in qualche modo facendolo modifica la storia.

Francesco sempre in quel suo messaggio per Temi di libri aveva detto che «Il Signore era la luce della vita di don Lorenzo, la stessa che vorrei illuminasse il nostro ricordo di lui». E aveva ricordato quella frase detta al suo confessore che avrebbe voluto che i suoi cari potessero vedere «come muore un prete cristiano». Forse è un aspetto un po’ trascurato nel modo con cui oggi si guarda a don Milani…
I giorni finali trascorsi nella casa di via Masaccio a Firenze sono decisivi per comprendere la potenza della vicenda umana di don Lorenzo e direi anche il suo cristianesimo radicale evangelico. Volle impartire ai suoi scolari l’ultima lezione mostrando loro come finisce una vita. Avrebbe potuto farsi ricoverare in una clinica con infermieri specializzati. Preferì dettare le righe finali con il suo corpo lasciandosi alle spalle come un tizzone perfino l’immagine che gli altri avevano costruito di lui. Questo io credo valga ancora oggi: prima di avvicinarlo dovremmo tributargli rispetto, credenti e non credenti.

La popolarità di don Milani è testimoniata anche dalla grande ricchezza di pubblicistica che lo riguarda. Ma forse don Milani manca laddove dovrebbe esserci di più: a scuola. Per quella che è la tua esperienza una figura come la sua può fare ancora breccia?
Ci sono tanti insegnanti, non solo in Italia, che si richiamano a lui: donne e uomini di buona volontà che cercano, per quel che possono, di realizzare l’autenticità della relazione umana, senza ridurre gli obiettivi didattici, anzi moltiplicandoli. Barbiana è morta, ma può essere ripresa in forma nuova. Don Milani è ancora una domanda inevasa, una sfida aperta, una ferita sanguinosa, anche nelle incomprensioni alle quali continua ad andare incontro. Chiunque lo tocca, rischia di bruciarsi. Secondo me è questo il segno del la sua vera forza.

Ultima domanda: la grandezza di don Milani sta anche nell’aver convissuto tutta la vita anche con tante ombre. Di avere fatto i conti con una struttura personale profondamente drammatica. Sei d’accordo? Anche rispetto a don Mazzolari che invece fu un grande prete, “tromba dello Spirito Santo” come disse papa Roncalli, ma prete tutto d’un pezzo…
È forse questo l’aspetto che mi intriga di più. Quelle ombre a cui tu fai cenno sono presenti dentro ogni essere umano. Conta la risposta che noi possiamo dare. Don Lorenzo entra in azione per illuminare il percorso, non per oscurarlo: in questo senso è profondamente antinovecentesco. Vuole guarire, non ammalarsi. Cerca una verità, non si crogiuola nel dubbio. Lega il pensiero all’azione. Proprio lui, uno dei più grandi italiani del ventesimo secolo, ci ha fatto capire tutto il pericolo presente nella pura erudizione intellettuale. Se la tua parola non scaturisce dalla vera esperienza, rischia di essere sterile. Ma la vita ha bisogno del linguaggio, altrimenti è puro istinto. Questo vale per i ragazzi di Barbiana di oggi. È la ragione che mi spinge a insegnare l’italiano agli immigrati.


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