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Codice di condotta: AOI, Link 2007 e Concord Italia chiedono un (vero) confronto con il governo

In un documento congiunto, le reti delle ONG italiane AOI, LINK 2007 e CONCORD Italia esprimono alcune precisazioni sui contenuti e sulla gestione della vicenda del cosiddetto Codice di Condotta per le ONG che effettuano i salvataggi in mare. Senza rimettere in discussione l'autorità dello Stato, le tre reti denunciano "disposizioni amministrative unilaterali" e chiedono "l'istituzione di un tavolo di confronto finora rimasta inascoltata".

di Paolo Dieci e Francesco Petrelli e Silvia Stilli

L'Associazione delle Ong italiane (AOI), LINK 2007 e CONCORD Italia, in un documento congiunto, esprimono alcune precisazioni sui contenuti e sulla gestione della vicenda del cosiddetto Codice di Condotta per le ONG che effettuano i salvataggi in mare.

Pur condividendo lo sforzo di coordinamento e sistematizzazione che il Viminale sta portando avanti, le organizzazioni innanzitutto sottolineano che più che di “codice di condotta” – che implicherebbe il pieno coinvolgimento delle parti interessate, fin dalla sua formulazione – si dovrebbe parlare di disposizioni amministrative unilaterali. Disposizioni, peraltro, che rispecchiano per la maggior parte quanto da un lato è normalmente nei poteri delle pubbliche amministrazioni e quanto, dall’altro, le Ong già stanno facendo nel rispetto della legge del mare e delle convenzioni internazionali. Questa corrispondenza di molta parte del Codice con la realtà vissuta quotidianamente nei salvataggi dimostra anche la falsità e la malizia del messaggio di denigrazione delle Ong diffuso nei mesi scorsi e continuamente ripetuto da gran parte della politica e dei media. La trasparenza richiesta, poi, è uno dei principali pilastri delle Ong umanitarie, senza la quale esse perdono significato: i bilanci sono pubblici e le istituzioni possono chiedere qualsiasi chiarimento se sorgessero dubbi.

Più che di “codice di condotta” – che implicherebbe il pieno coinvolgimento delle parti interessate, fin dalla sua formulazione – si dovrebbe parlare di disposizioni amministrative unilaterali.

Alcune Ong non hanno però potuto firmare il Codice per motivi legati all’impostazione generale e, in particolare, a causa di due punti che rischiano di snaturare l’identità delle Ong umanitarie:

  • Il Codice evita di affermare con chiarezza la priorità del salvataggio in mare di fronte a persone in pericolo, mentre esplicita la richiesta di contribuire attivamente, a bordo, alle attività investigative e di polizia. Vengono così cancellati i principi fondamentali che impongono l’assoluta distinzione tra l’attività di polizia (o militare) e l’attività umanitaria
  • Le operazioni militari italiane nelle acque territoriali libiche e l’insistenza ad affidare alle forze di quel paese il salvataggio e la protezione dei migranti, senza alcuna garanzia che ciò possa realmente avvenire, confermano ancora maggiormente la necessità per le Ong di essere e di essere percepite indipendenti da tali operazioni.
  • La presenza a bordo di funzionari armati, contraria ai codici che la grande parte delle Ong umanitarie ha adottato in tutti i paesi in cui intervengono, che prevedono che nelle loro sedi non entrino armi. No Weapons, Non si entra armati. È un segno dell’imparzialità, della neutralità ed è anche una garanzia di sicurezza per il personale
  • La proibizione del trasbordo da una nave più piccola ad un’altra più grande e più attrezzata per il soccorso e le cure mediche, che appare come una pura limitazione ai salvataggi: il Codice, pur ammettendo eccezioni, mette a rischio la possibilità di normale collaborazione tra navi di diverse dimensioni, mettendo in realtà a rischio la vita delle persone.

Un maggiore e più approfondito dialogo del Ministro Minniti con le Ong avrebbe certamente favorito la ricerca di un Codice veramente condiviso, rispettoso dei principi umanitari.

Le azioni di salvataggio, anche senza Codice, sono state effettuate nel pieno rispetto della legge italiana e internazionale e sotto il coordinamento dell’istituzione preposta, il Comando della Guardia costiera. La mancanza di coerenza del Codice con le ampie disposizioni e gli standard operativi già codificati sia in Italia che nell’Ue, per quanto riguarda il soccorso umanitario, lascia invece perplessi e dubbiosi.

Un maggiore e più approfondito dialogo del Ministro con le Ong avrebbe certamente favorito la ricerca di un Codice veramente condiviso, rispettoso dei principi umanitari, e quindi sentito da tutti come proprio e non come imposizione esterna a cui dover aderire. Le divisioni nel mondo Ong e tra Ong e istituzioni, in un momento difficile come questo, non aiutano nessuno, specie di fronte a questioni che toccano la vita e la morte delle persone e quindi i valori fondamentali del nostro vivere comune.

Le organizzazioni firmatarie ribadiscono la buona volontà e la disponibilità alla piena collaborazione da parte delle Ong, nei limiti dei pluriennali e sperimentati codici basati sui principi umanitari, rinnovando la richiesta di istituzione di un tavolo di confronto finora rimasta inascoltata. L’autorità dello Stato non è messa minimamente in dubbio; ne è prova il continuo confronto e la collaborazione con le istituzioni politiche e amministrative che ha sempre caratterizzato la nostra azione. Siamo convinti che, anche su questa materia, il confronto possa aiutare a superare le divisioni.

Testo firmato da Silvia Stilli (Portavoce di AOI), Paolo Dieci (Presidente di Link 2007) e Francesco Petrelli (Portavoce di Concord Italia)


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