Cooperazione & Relazioni internazionali

Il Moas: «Pronti a varare i voli della misericordia»

L'intervento della direttrice dell'organizzazione non governativa con base a Malta: «Non smetteremo di salvare vite in mare finché anche solo una sarà in pericolo perché mancano alternative legali e sicure. Proprio su quelle alternative lavoriamo incessantemente da un anno nella speranza di svuotare i viaggi della morte nel Mediterraneo il prima possibile»

di Regina Catrambone

A Novembre 2016 il nostro equipaggio MOAS, impegnato nel Mediterraneo Centrale, ha tratto in salvo una famiglia siriana formata da quattro persone: il padre Hamed di 70 anni, la madre Sheriffa di 61 e due figlie di 37 e 27 anni (in foto). Venivano da Damasco e abbandonare la loro città è una ferita aperta che sanguina al solo pensarci. Erano partiti circa 10 settimane prima di essere tratti in salvo dopo un viaggio per cui avevano pagato l'equivalente di circa 1000 euro. Era il secondo tentativo di attraversare il mare per raggiungere l'Europa. Il primo, circa un mese prima, era costato il doppio ed era andato male perché erano stati fermati dalla Guardia Costiera Libica che li aveva arrestati. L'esperienza è stata così traumatica che un amico siriano in viaggio col figlio sul primo barcone per la paura ha deciso di ritornare in Siria. Meglio morire nel proprio paese, avrà pensato. Ruwaida, la figlia maggiore, è un ingegnere elettrico e per 8 anni ha lavorato in Venezuela, dove ha anche imparato lo spagnolo. Per questo da un lato si augura di andare in Spagna, anche se la sua famiglia vuole andare a Monaco per raggiungere il fratello che vive lì. Elin, la minore, si era appena laureata in economia ma trovare un lavoro era impossibile a causa della guerra che imperversava nel paese.

Alla fine, la situazione era diventata insostenibile: bombardamenti, violenze, sparatorie si aggiungevano a una catastrofica situazione economica in cui “il salario di un mese basta a stento per comprare da mangiare per una settimana”. Nemmeno i tentativi del padre, che intanto era tornato a lavorare pur di aumentare le entrate familiari, sono serviti. Dovevano partire. E così hanno preso la macchina, guidato fino a Beirut e preso un volo per Tunisi per poi proseguire fino a Zawiya, in Libia, sperando di superare quel tratto di mare per poter ricominciare a vivere senza l'odioso spettro della paura.

Il salario di un mese basta a stento per comprare da mangiare per una settimana

Hamed

Hamed, Sheriffa, Ruwaida e Elin sono la testimonianza in carne e ossa di cosa significhi svegliarsi una mattina in un Paese dove è scoppiata la guerra. La guerra, che a noi sembra così distante, per loro è diventata una temibile realtà che li ha costretti a fuggire, lasciandosi tutto alle spalle: dai beni materiali comprati coi sacrifici del proprio lavoro, alla casa dove un tempo ci si sentiva al sicuro fino agli affetti e alle proprie certezze.

Personalmente, ogni volta che incontro persone non più giovanissime ammassate su barconi stracolmi e in fuga da un Paese che forse non rivedranno mai più, mi chiedo cosa si provi nell'affrontare una separazione così lacerante. La consapevolezza di non rivedere più i luoghi dove siamo stati felici, dove abbiamo costruito la nostra vita e la nostra famiglia prima che arrivasse la guerra a distruggerla deve essere atroce. Ma mi rendo conto che pur di mettere in salvo i propri cari si è pronti a sfidare qualunque ostacolo.

In fondo, cosa c'è di criminale nel voler vivere? Nel tentare di sopravvivere ad un massacro che non si è scelto? Dov'è l'oltraggio se, divenuti incapaci persino di sfamare la propria famiglia, si decide di fuggire in cerca di un futuro migliore?

L'oltraggio sta nel fatto che lo si debba fare su mezzi insicuri alla mercé di trafficanti che fanno profitti sulla disperazione delle persone e nel fatto che una famiglia siriana, come migliaia di altre, abbia dovuto scegliere questo viaggio letale, nonostante il Diritto Internazionale garantisca loro protezione. Con MOAS non smetteremo di salvare vite in mare finché anche solo una sarà in pericolo perché mancano alternative legali e sicure. Proprio su quelle alternative lavoriamo incessantemente da un anno nella speranza di svuotare i viaggi della morte il prima possibile, sostituendoli coi voli della misericordia.


L'autrice è Co-Fondatrice e Direttrice di MOAS

Foto di Jason Florio


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