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Cooperazione & Relazioni internazionali

Rojee e Oljana, in fuga per tornare a scuola

Due sorelle, tratte in salvo dal team MOAS che operava nell’Egeo nel Dicembre 2016, in fuga dalla Siria per poter riabbracciare la loro madre e tornare fra i banchi di scuola

di Regina Catrambone

Dato che l’anno scolastico sta iniziando, ho deciso di raccontare la storia di due sorelle in fuga dalla guerra in Siria nella speranza di rivedere la loro mamma e poter tornare a studiare visto che la guerra ha negato loro anche questo diritto.

Rojee e Oljana (nella foto di copertina) hanno rispettivamente 19 e 12 anni, sono curdo-siriane e vengono da una città nel nord della Siria di nome Afrin. La guerra ha travolto le loro vite, un tempo pacifiche, catapultandole in una realtà da incubo cui hanno deciso di porre rimedio affrontando il viaggio da sole.

Rojee e Oljana sono partite sole perché la loro madre si trovava già in Germania e il padre non voleva affrontare il viaggio, preferendo così rimanere in Siria. Spinte dal desiderio di ricongiungersi a lei e di riprendere gli studi in un paese senza guerra hanno deciso di provarci. Non avrebbero mai voluto affrontare il pericoloso viaggio che le ha portate in Europa, ma che scelta rimaneva? Morire sotto le bombe e non rivedere mai più la loro mamma.

Dopo essere state tratte in salvo dal team MOAS che operava nell’Egeo nel Dicembre 2016, sono state accolte a bordo e sottoposte ai controlli medici di routine prima di raccontare la loro storia.

Al di là del fatto che non avrebbero dovuto essere costrette ad affrontare un simile viaggio per potersi mettere in salvo e riunirsi con la propria madre, la loro storia è emblematica perché ci ricorda l’importanza del diritto all’istruzione. Il loro genuino desiderio di poter tornare fra i banchi di scuola ci ricorda come le attuali migrazioni calpestino anche il diritto all’istruzione, che invece viene sancito dal diritto internazionale e non solo.

L’articolo 26.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite sancisce quanto segue: Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L'istruzione elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito”.

L’istruzione non è fine a se stessa: significa molto più che imparare a leggere, scrivere o contare. Va ben oltre lo studio della storia e della geografia. L’istruzione è la vera chiave per l’indipendenza e per sviluppare esseri umani consapevoli e cittadini responsabili. Ma lo scenario globale di estrema instabilità politica e conflitti sanguinari cancella questo diritto e sono troppi i bambini e gli adolescenti che potrebbero non entrare mai in un’aula scolastica. Questo significa creare generazioni fantasma e sprecare talenti che non verranno mai coltivati.

In quest’ottica, il comma 2 dell’articolo 26 recita che “L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”.

La precarietà in cui milioni di persone sono costrette, ammassate in campi profughi di fortuna o in veri e propri centri di detenzione come quelli libici, annulla sogni, aspirazioni, talenti di cui la nostra intera comunità viene privata.

Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo

Malala, Nobel per la Pace 2014

Occorre, quindi, andare finalmente oltre l’approccio emergenziale e caotico ai flussi migratori per sceglierne uno globale che affronti in modo lungimirante tutti gli aspetti connessi alla questione. In primo luogo è necessario svuotare i barconi della morte tramite l’apertura di canali umanitari sicuri e legali, come da tempo proposto da MOAS. In secondo luogo, bisogna far funzionare i programmi di ricollocamento già previsti a livello europeo, ma che a causa di egoismi nazionali e cecità istituzionale sono rimasti lettera morta. Questo ci consentirà di sradicare reti di criminali senza scrupoli e razionalizzare gli arrivi.

Solo dopo aver intrapreso questi percorsi, potremo concentrarci su una degna accoglienza finalizzata all’integrazione. E in questa fase l’istruzione –scolastica, accademica o professionale- sarà cruciale.

Fra i banchi di scuola con penne e libri, daremo loro una opportunità per continuare i propri studi e forniremo loro i mezzi per poter un giorno tornare nei paesi di origine mettendo a frutto quanto imparato: sarà questo il ponte di cultura e solidarietà fra i paesi che li avranno accolti e quelli di origine.


*l'autrice è Co-Fondatrice e Direttrice di MOAS


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