Economia & Impresa sociale 

Gardini: «La riforma del Terzo settore? Un passo storico»

Il numero uno dell’Alleanza delle cooperative italiane: «La riforma ha il grande merito di disciplinare un settore che ha davanti a sé praterie di crescita e di mercato, perché in tutti gli ambiti del welfare c’è grande richiesta di servizi». I provvedimenti attuativi? «Assumono importanza cruciale sia le linee guida ministeriali in tema di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti, sia i provvedimenti relativi al sistema di vigilanza dell’impresa sociale»

di Redazione

«La riforma del Terzo settore rappresenta un passo storico. Una opportunità di sviluppo e di regolamentazione di un comparto fondamentale negli assetti sociali ed economici del paese. Era un mondo che necessitava di filtri e controlli per i troppi limbi e le aree grigie non monitorate. La riforma ha, quindi, il grande merito di disciplinare un settore che ha davanti a sé praterie di crescita e di mercato, perché in tutti gli ambiti del welfare c’è grande richiesta di servizi». A sostenerlo è stato questa mattina Maurizio Gardini presidente dell’Alleanza delle cooperative italiane in occasione del confronto con il governo sul tema “Riforma Terzo Settore: le imprese sociali per lo sviluppo del Paese” a cui hanno partecipato aria Elena Boschi Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio e Luigi Bobba, Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’Alleanza delle Cooperative, associa 39.500 imprese che rappresentano l’8% del PIL, dando lavoro a 1.150.000 persone, con un fatturato di 150 miliardi di euro e 12 milioni di soci: un italiano su cinque è socio di cooperativa. Uno su tre acquista nelle cooperative. Un italiano su otto utilizza annualmente i servizi di welfare erogati da cooperative sociali e sanitarie.

Opportunità occupazionale

Ancora Gardini: «Riteniamo che il Paese abbia un grande bisogno di imprese che svolgano una funzione sociale, soddisfacendo i bisogni della comunità, coinvolgendo le persone nei processi economici ed esercitando, senza intenti speculativi, attività di interesse generale. La riforma del Terzo settore può rappresentare, quindi, un passaggio storicamente rilevante anche sotto il profilo delle opportunità di sviluppo. Le trasformazioni del welfare, il moltiplicarsi dei bisogni, i nuovi problemi di coesione sociale e di territorio, la necessità di far crescere i tassi di occupazione sono sotto gli occhi di tutti. Così le difficoltà di coinvolgimento e inserimento dei giovani, nonostante lo sforzo profuso in questi anni dal Governo. Non vi è quindi alcun dubbio che la riforma del Terzo settore possa dare una risposta là dove vi è una domanda, una richiesta, un fermento. Nella nostra realtà nazionale è un valore creare le condizioni politiche e normative per rendere effettivo quel potenziale di mobilitazione giovanile e, più in generale, di risorse umane, che sono le materie prime di ogni Paese. Lo sviluppo passa dalla scelta di coinvolgere i giovani, perché possano misurarsi, costruirsi un futuro, vedere un ritorno positivo del loro investimento personale e imprenditoriale».

Come migliorare la riforma

«I prossimi passi sono decisivi per sciogliere alcuni nodi nei provvedimenti attuativi. Tra questi assumono importanza cruciale sia le linee guida ministeriali in tema di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti, sia i decreti attuativi del sistema di vigilanza dell’impresa sociale». «La valutazione dell’impianto complessivo è molto positiva, ma ci sono ancora alcuni aspetti che attendono di essere limati attraverso l’attuazione dei decreti attuativi. Ad esempio vigilare affinché, attratti da condizioni di favore e da nuove possibilità di sviluppo, qualcuno si travesta da “imprenditore sociale”, senza averne le caratteristiche più autentiche. Dunque, bene la riforma purché possa essere declinata al meglio e senza finte imprese o imprenditori sociali che si infiltrino nel mercato come moneta cattiva che scaccia la buona o peggio come un cavallo di Troia. È necessario calibrare bene il taglio della revisione relativa alla qualifica di impresa sociale, ci riferiamo a quelle non cooperative, così come vanno monitorati il reale coinvolgimento dei lavoratori, come previsto dalla normativa, e l’utilizzo effettivo dei volontari. Il movimento cooperativo, da questo punto di vista, è molto più avanti perché ha consolidato un’esperienza strutturata degli istituti revisionali».


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