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Dopo lo sradicamento, il germoglio: cosa insegna l’orto ai minori non accompagnati

I minori stranieri non accompagnati del Cpia 5 di Milano a scuola hanno fatto un laboratorio di orticoltura: hanno piantato i semi delle loro terre, li hanno trapiantati, hanno raccolto i frutti. Un'esperienza che li ha portati a rileggere le proprie storie con fiducia

di Francesco Mancuso e Alessandra Augelli

Dal seme alla pianta, dal lasciar andare al raccogliere: i minori stranieri non accompagnati che frequentano il plesso di via Heine del Cpia 5 di Milano, lo scorso anno scolastico hanno sperimentato un laboratorio di orticoltura (qui invece l'esperienza fatta al Museo del Nocevento). I ragazzi sono stati coinvolti nel processo di osservazione e di cura dei dinamismi naturali: ricontattare i cicli naturali, riprendere in mano una continuità temporale che le esperienze di sradicamento spezzano, è un’azione educativa molto preziosa per chi ha vissuto un viaggio fatto di complessità e sofferenza come quello dei minori non accompagnati. La difficoltà di trovare continuità e senso nelle realtà che incontriamo è una delle cose che ci disorienta maggiormente come persone e nell’esperienza dei minori stranieri non accompagnati questo vissuto di spaesamento spesso è mascherato da entusiasmo e spavalderia, ma l’incertezza e il timore del futuro sono diffusi e pressanti in loro. Nei momenti di passaggio della vita e nei cambiamenti di riferimenti culturali, il disorientamento si acutizza, le certezze vacillano e l’insieme di valori è messo in crisi fino al punto in cui nulla della realtà ci rassicura.

Sotto il coordinamento del prof. Francesco Mancuso e la supervisione del dirigente Pietro Cavagna i minori stranieri non accompagnati, ricordando gli insegnamenti di Vandana Shiva sulla biodiversità e sulla necessità di un rapporto rinnovato con la terra (cfr. la filosofia del seme), hanno ricercato e portati semi provenienti dai loro Paesi e hanno preparato i letti di semina. Lo scasso, la messa in coltura e la semina in aula di vivaio sono stati i passaggi successivi. Ogni passaggio è stato vissuto con impegno e semplicità ed ha costituito un modo per offrire ai ragazzi cornici di fondo e metafore concrete per rielaborare i loro vissuti: il passaggio da un territorio all’altro, da un contesto protetto ad uno scenario più ampio, irto di pericoli e, al contempo, ricco di possibilità. È così che i ragazzi nel vivere il trapianto in campo delle piantine e la cura delle stesse con rincalzo e irrigazione hanno potuto implicitamente rivedersi e guardare con speranza e significato ai loro passaggi di vita. La fase di raccolta ha concretizzato la fiducia del vedere i frutti e nel poterli offrire e mettere in comune con gli altri.

Da questa esperienza abbiamo compreso che occorre sviluppare un orizzonte educativo basato su apprendimento esperienziale, lavoro di gruppo ed empatia

Il progetto ha avuto un riscontro importante su tanti livelli: verbale, relazionale, professionale. Il riconoscimento e la valorizzazione delle diverse piante (medicinali, aromatiche, da frutto, ecc…) ha permesso di incrementare il sapere tecnico specifico, ma allo stesso tempo di ripensare al proprio progetto di vita, ai propri talenti e specificità. Un giovane adolescente migrante che già individualmente sperimenta un cambiamento nel suo sviluppo e vede intensificarsi questa esperienza nel passaggio culturale, si muove da Paesi in via di sviluppo in cui la vita è scandita grazie ai ritmi della natura e dove le cose avvengono con nessi di causa-effetto più riconoscibili ad un contesto come il nostro più tecnologico dove si perdono i legami tradizionali: per un ragazzo così la forza del gruppo, il ritrovare una simbologia e una spiritualità della terra diventa un’occasione preziosa.

Nel film d’animazione Vita da zucchina c’è una scena in cui Raimond, un poliziotto che prende a cuore la storia di due bambini senza famiglia, mostra loro le piante che coltiva in casa sua e dice: «Mi piace veder germinare le cose». È questo che spinge tanti educatori e insegnanti non solo a prendersi cura dei ragazzi ma a far in modo che a loro volta possano riproporre attenzione e dedizione nei confronti di sé e degli altri. Promuovere cultura è coltivare, educare è preparare il terreno, supportare, attendere… questo lo si è sperimentato con il cuore, la mente e le braccia! Da questa esperienza sviluppata con strumenti semplici e piccole intuizioni occorre sviluppare un orizzonte educativo basato su apprendimento esperienziale, lavoro di gruppo ed empatia, che sviluppi la sostenibilità come scelta etica e via interculturale al futuro.

Foto di apertura kaboompics.com, le altre foto inviate dagli autori.


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