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L’Italia? Una casa che continua a crescere in alto assottigliandosi alla base

È questa l'immagine che per il professor Rosina rappresenta la situazione demografica del paese. Le conseguenze sul welfare, la sanità, le pensioni sono facilmente intuibili. Eppure fino ad oggi poco o nulla si è fatto. «Dobbiamo ribaltare la visione che pensa alle nuove generazioni come bene privato a carico della famiglia, per vederle invece come bene pubblico rispetto a cui tutta la società ha interesse a investire con generosità e intelligenza»

di Sara De Carli

Alessandro Rosina, ordinario di demografia all’Università Cattolica di Milano, interverrà oggi alla Conferenza Nazionale della Famiglia, al tavolo dedicato alla “crisi demografica”: è un tema su cui più volte ha lanciato l’allarme rosso.

Di cosa parlerà, nello specifico, alla Conferenza?
Parlerò di come la carenza di politiche adeguate abbia portato le famiglie italiane a chiudersi in difesa: la conseguenza di ciò è la crescita degli squilibri demografici, in interdipendenza negativa con le dinamiche economiche e sociali. La carenza di politiche a favore della famiglia, in particolare di politiche fiscali, ha portato le coppie a ridurre il numero di figli desiderato e all’aumento del rischio di povertà per quelle che sono andate oltre il secondo figlio. La carenza di politiche di conciliazione ha portato alla rinuncia ad avere figli per chi ha un lavoro e alla rinuncia ad un lavoro per chi ha figli. La carenza di politiche attive del lavoro e di valorizzazione del capitale umano sta portando i giovani a scegliere di andare all’estero (il 61% dei giovani italiani è disponibile a lasciare il Paese, ndr) e quelli che rimangono sono costretti a rivedere al ribasso le proprie ambizioni e i propri progetti di vita.

Quali conseguenze ha questa crisi della natalità sulla sostenibilità del sistema di welfare del nostro Paese?
Gli squilibri demografici hanno enormi conseguenze economiche: ci sono meno giovani che possono far crescere il Paese con il loro lavoro, c’è più spesa previdenziale e più spesa sanitaria perché aumentano le persone anziani. Gli over80 in Italia erano mezzo milione nel 1950, sono circa 4 milioni oggi e saranno oltre 8,5 milioni entro il 2050, passando dall’1% della popolazione che erano nel 1950 al 13% della popolazione che saranno nel 2050. Nel giro di quindici anni più di un italiano su tre sarà over65, avremo 1,4 milioni in meno di under25 e un aumento complessivo di 5,1 milioni di over55, di cui 1,6 solo nella fascia over75. Lo scenario è che avremo non solo meno under25, ma anche 4,2 milioni in meno di adulti attivi fra i 24 e i 54 anni, quindi tutto il sistema rischia di diventare fragile. È come se continuassimo ad aggiungere piani alti di una casa, perché aumenta la longevità, ma senza potenziare mai i piani bassi e le fondamenta, anzi erodendoli.

È come se continuassimo ad aggiungere piani alti di una casa, perché aumenta la longevità, ma senza potenziare maii piani bassi e le fondamenta, anzi erodendole. Tutto il sistema rischia di diventare fragile.

Lo squilibrio demografico porta un eccesso di carico sulle famiglie, con il peso sulle donne di mezza età, che qualcuno ha già definito la sandwich generation. Che fare?
Le donne italiane non hanno meno desiderio di figli o di realizzazione professionale rispetto alle loro coetanee di altri Paesi, però hanno meno possibilità di farlo perché esistono meno strumenti di conciliazione. La conciliazione non deve più riguardare solo i lavoratori con bambini piccoli, ma anche chi deve prendersi cura di genitori anziani: è un sistema che in prospettiva diventa insostenibile, diminuiranno le donne di età centrale e aumenteranno gli overo80, che in gran parte sono non autosufficienti.

Più volte è stato ripetuto che il sistema italiano anche in questi anni di crisi ha tenuto per via di una forte solidarietà intrafamiliare, sia nel senso di accudimento agli anziani sia nel senso di supporto da parte delle famiglie d’origine ai giovani che lasciano il nido. Mi pare di capire però che questo modello stia mostrando i suoi limiti. Perché? E come uscirne?
La forte relazione fra genitori e figli, la solidarietà, l’avere famiglie molto disponibili al mutuo aiuto sia strumentale che emotivo, è un valore aggiunto della famiglia italiana. Noi però l’abbiamo fatto diventare questa relazione forte uno schiacciamento delle famiglie. Le specificità positive della famiglia italiana si sono trovate imbrigliate in difesa e vincolate verso il basso. La forte e intensa relazione tra genitori e figli, in carenza di adeguate politiche pubbliche, è diventata iperprotezione, dipendenza passiva dei giovani della famiglie d’origine. Se avessimo la combinazione delle due cose, i servizi e le opportunità che ci sono negli altri Paesi e in più il valore aggiunto delle solidarietà famigliare, l’Italia sarebbe il miglior Paese in cui essere giovani, perché non avremmo solo l’aiuto efficiente ma freddo delle policy attive ma a questo si aggiungerebbe anche l’aiuto caldo di sostegno e incoraggiamento che adesso invece da solo diventa iperprotezione schiacciante, proprio perché manca il resto. Mancando un welfare adeguato, la domanda di sostegno grava tutta sulle famiglie e va schiacciare la possibilità di conciliare la cura e il lavoro femminile. Cosa che invece si potrebbe fare se avessimo politiche adeguate, se avessimo gli stessi servizi per anziani non autosufficienti e gli strumenti di conciliazione che ci sono in altri Paesi: anche qui, se avessimo i servizi e insieme il modello cultuale italiano del prendersi cura, del sentirsi coinvolti, del non delegare la cura al pubblico o al mercato, l’Italia sarebbe il top per essere anziani. Il problema, ripeto, è che stiamo costringendo le famiglie a giocare in difesa, da sole, così che le peculiarità positive diventano iperprotezione da un lato e schiacciamento eccessivo dall’altro, quando invece se fossero affiancati a servizi efficienti di welfare sarebbero elementi estremamente qualificanti.

Se il fisco finalmente tiene conto dei carichi famigliari, fa capire simbolicamente che i figli non sono un costo ma un valore collettivo a cui tutta la società deve tenere

Quali interventi sono necessari per provare a invertire il trend demografico attuale?
Innanzitutto serve lavorare sull’aspetto culturale, rispetto a cui le politiche fiscali hanno ruolo importante: se il fisco finalmente tiene conto dei carichi famigliari, fa capire simbolicamente che i figli non sono un costo ma un valore collettivo a cui tutta la società deve tenere, perché l’apporto quantitativo e qualitativo delle nuove generazioni contribuisce a costruire la ricchezza del Paese. Dobbiamo ribaltare la visione che pensa alle nuove generazioni come bene privato a carico della famiglia, per vederle invece come bene pubblico rispetto a cui tutta la società ha interesse a investire con generosità e intelligenza. Ecco, questo serve, generosità e intelligenza. Nel dettaglio delle proposte, politiche di successo sono possibili utilizzando la fase di ripresa dalla crisi per “scongelare” le scelte che l’incertezza economica aveva messo in stand by, rispetto all’avere il primo o il secondo figlio: questo vale soprattutto per le donne tra i 35-44 anni, che rischiano altrimenti di rinunciare definitivamente. D’altra parte serve un incoraggiamento e un sostegno della formazione delle scelte di autonomia e di creare una propria famiglia nella fascia 20-34 anni. Una indagine di approfondimento del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo, svolta a luglio 2017, dice che solo il 7% dei giovani è disposto a rassegnarsi a non avere figli e il 71% miri invece ad averne almeno due. Porre le condizioni perché tali scelte positive possano compiersi con successo è il compito di una politica che pensa in modo lungimirante alle nuove generazioni.


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